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BEASTARS
Legosi/Louis
NSFW
 
TW: cannibalismo, dub-con 

COW-T #14, week 2, m1 - no dialoghi

Ci sono, ovviamente, degli aspetti negativi nell’essersi fatto mangiare una gamba da Legosi; non ci vuole certo un genio per capirlo.
 

Oltre alla non trascurabile assenza di una gamba - oltre al dolore fantasma, oltre alla protesi che tira e brucia e non è mai nella posizione giusta e che ogni tanto Louis sente l’irrefrenabile istinto di gettare fuori dalla finestra per la frustrazione, oltre agli sguardi di dolorosa pietà che gli altri erbivori gli rivolgono e di famelico desiderio che i carnivori nemmeno si sforzano di nascondere davanti ad un animale che si è già dimostrato preda - oltre a tutto questo, Louis non aveva bisogno di aggiungere un collegamento diretto con il sistema sensoriale del lupo grigio. 

Louis decisamente non ha bisogno di piegarsi a metà nel mezzo di un incontro di affari, il dolore allo stomaco che lo assale perché Legosi si è fatto prendere a pugni in un merdoso vicolo del mercato nero. 

Louis non ne ha bisogno, ma ha imparato a conviverci. Ha imparato ad ignorare una mascella pulsante, un occhio pesto o il bruciore su una spalla dove qualcuno deve aver affondato gli artigli. Si è adattato - come si è sempre adattato a tutto nella sua vita - e non si è lasciato piegare. Non è davvero necessario che Legosi sappia quanto fa male anche a Louis ogni ferita sul suo corpo - il lupo grigio lo prenderebbe soltanto come un rimprovero, e si impegnerebbe a rimanere il più possibile fuori dai guai e di sicuro questo non è quello che Louis vuole per lui. 

E se, dopotutto, non è abbastanza intelligente da fare due più due su come faccia Louis a sapere quando telefonargli o passare a trovarlo per sapere come sta esattamente nel momento in cui ne ha più bisogno, beh non sarà certo il cervo a togliersi quell’aria di mistero. 

 

 

Louis si sveglia nel cuore della notte, ansante. L’orologio sul comodino segna le due e trentaquattro di notte, e Louis impiega qualche secondo a capire cosa stia succedendo. 

È eccitato, il cuore gli batte frenetico nel petto e il cervo potrebbe quasi dare la colpa ad un sogno erotico particolarmente intenso, se solo non fosse per la mano fantasma che lo accarezza - no, non è il termine esatto. La presa sulla sua erezione è stretta e solida e il ritmo è veloce e Louis geme, dimena le anche e viene in mezzo secondo netto, senza neanche essere riuscito a slacciarsi i pantaloni. Sente la mano continuare a muoversi sul suo cazzo, ma non prova la sensazione dolorosa della sovrastimolazione, no, Louis sente ancora il piacere pulsagli nei lombi, stringergli le viscere, quasi dovesse ancora venire, quasi il suo seme speso sulle sue lenzuola non fosse ciò che quella mano fantasma stesse cercando.
Il cervello di Louis fatica a fare due più due, mentre le ondate di piacere si fanno sempre più ravvicinate e il suo cazzo cerca di diventare di nuovo duro per concedergli un bis - e va bene che è ancora praticamente un adolescente, ma Louis è pur comunque un animale e il secondo orgasmo che lo travolge è soltanto mentale. 

Il cervo si accascia tra le lenzuola sudate, il respiro affannoso e una chiarezza mentale che non riesce ad essere sopraffatta dall’appagamento dei sensi. 

Merda. 

Quello era Legosi. 

 

-

 

Louis evita il lupo per tre giorni dopo quella notte. Ignora le sue chiamate e risponde ai messaggi con monosillabi e frasi stringate. 

È un cazzo di casino. Louis non può continuare a farsi masturbare da Legosi senza che l’altro lo sappia e allo stesso tempo non è che possa pretendere da Legosi l’astensione sessuale a vita. Che cazzo di casino. 

La terza notte, Legosi si presenta sotto casa sua. 

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 BEASTARS, Legosi/Louis, Doctor Who!AU
  • Maritombola 22 - In una astronave (Extratombola - Bestiality)


- - - 

Note: temporary major character death, frottage 

- - - 


Gosha gli dà l’orologio il giorno del funerale di sua madre. 

“Non aprirlo mai,” gli dice, “a meno che tu non senta di non poter vivere altrimenti.” 

Legosi non capisce - e come potrebbe - ma stringe comunque l’orologio da taschino tra le mani. È d’argento e finemente cesellato, troppo prezioso per essere maneggiato da un ragazzino goffo e ancora scoordinato dalla crescita. Legosi teme di rovinarlo, di graffiarlo con i suoi artigli. 

“Nonno, non… non posso tenerlo.”
“Nemmeno io.” 

È una tentazione, Gosha lo sa, la tentazione di abiurare le proprie scelte, negare quelle di Leano, invalidare quelle di Toki. Non c’è niente di fissato nello spazio-tempo, se non l’orrore che potrebbe provare per sé stesso una volta aperto quell’orologio - troppe cose che potrebbero cambiare, troppi sacrifici che non spetta a Gosha fare. 

“Mettilo via adesso, Legosi, che non fa bene guardarlo troppo a lungo. Fa venire strane idee.” 

Il lupo si fa scivolare l’orologio in tasca e Gosha spera che non gli debba venire mai la tentazione di aprirlo. 

Dopo il funerale, il rettile non vede Legosi per i successivi cinque anni. 

Ci prova a dirsi che è solo perché il nipote sta crescendo e a quell’età agli adolescenti piace essere indipendenti, ci prova a dirsi che non è stata la morte di Leano a creare una faglia tra loro. 

E poi, improvvisamente, un pomeriggio di cinque anni dopo, Gosha ricorda tutto. 

Lo sa ancora prima che il telefono squilli e quando lo fa, sa anche che è Legosi dall’altro lato della cornetta. 

“L’ho aperto. Sto venendo a prenderla.” 

Gosha sente le lacrime scivolargli sulle guance ruvide. “Ti aspetto.” 



Non lo ha salvato. 

Non sapeva nemmeno di doverlo fare dopotutto. 

Sono passati tre giorni da quando ha liberato Haru e da quando Louis è scomparso. Tre animali non sono tornati a scuola quella notte, ma soltanto uno non era ai cancelli la mattina dopo. 

Legosi sapeva che Louis li aveva seguiti, se lo sentiva nelle ossa che il futuro Beastar non avrebbe rinunciato così. Eppure pensava che qualunque cosa Louis avesse fatto, sarebbe tornato trionfante. 

Invece l’unica cosa che è tornata è una scatola, indirizzata a lui, con tanto di nome. 

E quando l’ha aperta dentro c’era soltanto il frammento di un palco, chiazzato di sangue - il lupo non ha nemmeno avuto bisogno di annusarlo per sapere che veniva delle corna di Louis. 

È un messaggio. Stiamo venendo per te. 

Avrebbe dovuto ucciderli tutti. Avrebbe dovuto strappare la gola al capo e lasciarlo a morire in una pozza di sangue, tagliare la testa alla bestia in modo da sparpagliare i ranghi. Invece era stato debole, lo aveva lasciato vivere. 

Ed Louis era morto in cambio. 

“Legosi, tutto bene?” Jack gli posa una mano sulla spalla, ma Legosi lo scuote via, brusco, rifiutando il contatto. 

Cosa c’è in quella scatola?, vorrebbe chiedere il cane, vorrebbe pretendere di sapere perché sente l’odore del sangue, e chi mai invierebbe qualcosa di insanguinato al suo migliore amico? La stessa persona che tre giorni fa gli ha fatto quelle ferite? Sta succedendo qualcosa a Legosi, Jack lo sa, non può c’entrare solo la coniglietta, perché quella scatola, qualsiasi cosa ci sia dentro, puzza di cervide, Jack lo ha sentito non appena Legosi l’ha aperta. Non ci vuole certo un cervello geneticamente potenziato per collegare quell’odore al cervo di cui tutta la scuola non fa che parlare perché è scomparso da tre giorni. 

“Legosi…” Jack lo chiama ancora, prende tempo e coraggio, perché non vuole davvero conoscere la risposta alla domanda che sta per fare, ma deve farla lo stesso. “Legosi, cosa c’entri con la sparizione di Louis?” 

Il lupo chiude il coperchio di scatto e si volta verso Jack, “Cosa…?” 

Jack lo osserva, vede la follia nei suoi occhi - cerchiati di rosso e sbarrati e selvaggi. Non lo ha mai visto così. Quasi si aspetta una risata malvagia accompagnata da un “sei sempre stato troppo intelligente, Jack, ora dovrò uccidere anche te” - se solo quello non fosse il suo amico Legosi, quello che non farebbe male nemmeno ad una mosca. 

“Legosi, coraggio, a me puoi dirlo.” 

“È morto.” 

Legosi lo dice e improvvisamente diventa vero. 

Deve sedersi. 

Si lascia cadere sul letto, la scatola ancora in mano, e scossa la testa, come se bastasse a cambiare il fatto che Louis è morto

“Come?” Jack chiede, e si rifiuta anche solo di pensare come lo sai? o peggio, l’hai ucciso tu? 

“Non lo so. Io… non c’ero. Non ero lì per lui. Avrei dovuto esserci.” 

E oh, oh Legosi, in che ti sei andato a cacciare, sempre con il peso del mondo sulle spalle. 

Jack si inginocchia sul pavimento davanti a lui per prendergli la scatola dalle mani e Legosi oppone resistenza di riflesso, stringe le dita attorno al legno, prima di lasciar andare e permettergli di prenderla. 

Il labrador solleva il coperchio abbastanza da sbirciarci dentro, da vedere il frammento di osso e sentire la zaffata di sangue e cervo e… felino? Non è chiaro di che tipo, dopotutto quello che gli hanno inviato è soltanto un pezzo di corna - niente di vitale, ma non lo avrebbero fatto comunque, perché sprecare ottimo cibo solo per mandare un messaggio? - e forse è proprio questo che lo rende così definitivo. 

“Comincia dall’inizio,” Jack gli posa la mano libera sul ginocchio, stringe cercando di dargli conforto, e il lupo gli racconta di Haru e del suo rapimento, di essere andato da Louis per sapere che fare e di come lui si sia rifiutato di fare qualcosa, solo che poi qualcosa deve averlo fatto comunque, forse per un rimorso di coscienza, forse per amore, forse semplicemente perché è Louis. 

Jack lo ascolta, amico fedele che non è altro, e alla fine dice, “Dobbiamo sbarazzarcene, Legosi.” 

“Cosa?” Legosi lo guarda sconvolto, perché quella è l’ultima cosa che gli rimane di Louis, la presenza più ingombrante della sua vita che ora è improvvisamente sparita e lui non può lasciare andare anche quella scatola. “No!” 

Jack lo sa di sembrare poco empatico, ma non può fare niente per far stare meglio Legosi, per non farlo soffrire oltre, - qualsiasi cosa sarebbe soltanto una frase fatta, senza valore, che quando Legosi si pianta in testa che una cosa è responsabilità sua, non c’è modo di fargli cambiare idea - perciò l’unica cosa che può fare è usare il cervello per tenerlo al sicuro. 

“Ragiona, Legosi, è una prova! Mi hai appena detto che sei dovuto andare tu a salvare la tua coniglietta, e se la sua unica speranza è stata un lupo adolescente invece della polizia, l’organo competente e armato. Cosa pensi significhi?” Legosi scuote la testa perché è ancora troppo sconvolto dal fatto che Louis è morto, dannazione, e Jack continua a parlare,  “Se ti trovano con questo daranno la colpa a te, perché è la storia che gli conviene di più. Pensaci! Dovrebbero ammettere che c’è una gang di leoni che rapisce sistematicamente erbivori e che loro non stanno facendo nulla. Uno studente che dà di matto e mangia un compagno di corso è più vendibile e oh! Oh, merda! Ti daranno la colpa anche di Tem.” Jack scatta in piedi, una mano a coprisi la bocca. In che momento la sua vita è diventata un dannato film poliziesco?

“No,” Legosi approfitta della sua distrazione per riprendersi la scatola, “Non posso, Jack. Louis è morto. Per colpa mia. E questa è l’unica cosa che mi rimane di lui.”  

Jack tenta di farlo ragionare, ma Legosi si butta nell’armadio a rovistare tra le sue cose, cercando di seppellire la scatola sul fondo del cassetto, come se bastasse a far sì che nessuno potesse mai trovarla. 

È in quel momento che le sue dita sfiorano il freddo metallo di un orologio da taschino che quasi aveva dimenticato di avere. 

“Non aprirlo mai, a meno che tu non senta di non poter vivere altrimenti.” 

Una marea di sciocchezze, un enigma vuoto che doveva soltanto servire a distrarlo dal funerale di sua madre - non abbastanza, a distanza di così tanti anni,  per distrarlo dal funerale di Louis.

Come se servisse a qualcosa. 

Legosi afferra l’orologio con rabbia, sente i suoi artigli sfregare contro il quadrante, sfregiare gli intarsi. Non gli importa. Non importa nulla. 

“Non aprirlo mai, a meno che tu non senta di non poter vivere altrimenti.” 

Non vuole dire nulla. Non ha significato, come tutto il resto d’altra parte. 

Così Legosi apre l’orologio.

“Legosi!” Jack grida, ma il lupo non lo sente più. 

È il giallo. 

Tutto diventa giallo, dorato come la polvere del tempo, come la matrice dello spazio, come il pozzo dentro il quale avrebbe dovuto guardare sperando di non impazzire. 

Non è un evento fissato nel tempo e nello spazio, è qualcosa che può cambiare e per farlo deve soltanto…

“Legosi!”
“Devo andare!”
“Sei appena svenuto! Devi andare da un dottore!” 

Ah. 

Ma no, Legosi non ha bisogno del Dottore. 

“No. Adesso sono io il Dottore.”
“Oh, Rex! Ha un trauma cranico!” 


*


Louis ha smesso di cercare di convincersi che sia una pessima idea. Il peso della pistola nella tasca è rassicurante, la mano chiusa intorno al calcio come ulteriore precauzione. Tutto inutile, in ogni caso. Sarà morto per la fine della serata. Lui insieme a quell’idiota di Legosi e Haru, sempre che lei non sia già morta rendendo tutto questo ancora più stupido. 

Non avrebbe dovuto lasciarsi coinvolgere, ma Louis ha già fatto pace con sé stesso - non può lasciarli andare a morire da soli. 

Ciò non toglie che abbia un piano, o se non altro un abbozzo, e quindi si avvicina alla tana dei leoni  con nonchalance studiata, girandoci intorno e assicurandosi che nessuno stia prestando attenzione a lui. 

Per questo è inaspettato che qualcuno lo afferri per un polso e lo trascini indietro. Louis, rapido di riflessi, sfrutta il momentum per ruotare su stesso, ma non ha fatto bene i conti e si ritrova a sbattere contro il petto dell’aggressore. 

“Legosi? Ma che cazzo?!” Il cervo allontana la pistola dalla tempia del lupo, ma non la abbassa. Legosi non sembra nemmeno aver fatto caso al fatto che Louis gliela avesse puntata contro in prima battuta. 

“Sei vivo.” 

“Certo che sono vivo!” 

“Andiamo.” 

“Ma Haru…” 

“Haru sta bene.” 

Se fosse stato chiunque altro, Louis non ci avrebbe creduto, perché il lupo aveva un vantaggio minimo su di lui e quello è il covo della Shishigumi, non c’era il tempo materiale per un salvataggio. Ma quello è Legosi e se gli dice che Haru sta bene, allora Haru sta bene. 

“D’accordo.” 

Solo che andiamo è una porta affacciata sul nulla in mezzo alla strada e Louis si ritrova a fissare la scatola tra le sue mani, a stringerla compulsivamente, talmente forte da farsi sbiancare le nocche sotto la pelliccia rossastra, dopo che Legosi gli ha raccontato la storia più assurda su astronavi e marchingegni che alterano memoria e DNA, e viaggi nel tempo per cambiare un passato che non è ancora divenuto tale perché - 

“Sono… morto.” 

“Sì.” 

“Ma adesso sono vivo.”
“Perché per te non è mai successo.” 

Quello che dice Legosi non ha senso - è complicato e arzigogolato e manca di logica in ogni sua parte, come quasi tutta la morale che muoveva Legosi prima che si presentasse con una fottuta astronave che viaggia nello spazio-tempo. 

Forse Louis è morto davvero. Forse questa è l’allucinazione che il suo cervello ha inventato negli ultimi minuti di anossia prima di spegnersi definitivamente. 

Forse Louis è sempre stato quello che non aveva senso e non l’aveva mai capito. 

“Vuoi tornare a casa?” Legosi chiede e Louis scoppia a ridere. Casa. Ha appena scoperto che esistono i fottuti alieni e che se non fossero esistiti lui sarebbe morto e Legosi gli chiede se vuole andare a casa. Dove, a Cherrinton? Da Ogma? Alla Torre del Mercato Nero? Quale cazzo è la sua casa, eh?
“Louis?” 

D’accordo, Louis può ammettere di star avendo un crollo psicotico, che tutto questo è un po’ troppo, così cerca di contenere i singhiozzi della risata che ancora gli scuote il petto e si volta verso il lupo. 

“Mi hai appena detto che questa cosa viaggia ovunque in qualunque tempo e in qualunque luogo e che sarei potuto morire tra un’ora e mi chiedi se voglio tornare a casa? No, cazzo! Portami in un qualsiasi altro posto che non sia casa!”

Legosi cerca di impedirsi di scodinzolare, ma non ci riesce. 



Accade alla periferia di una città qualunque su un pianeta qualunque, - perché i mercati neri esistono in tutti gli universi e homo homini lupus è una stronzata, tutte le forme di vita tendono all’edonismo, anche quelle con i tentacoli e le uova - ma per Louis la città di Kumsdel sul pianeta Rho IV rimane una rivincita personale. 

Certo, devono fuggire in fretta e furia, la sirena dell’allarme che spacca i timpani non appena aprono le prime catene ai polsi degli schiavi, e riescono a malapena a sfuggire il blocco della gendarmeria, ma quando alla fine Legosi li lascia sul loro pianeta di origine, tra le lacrime e la gratitudine, Louis non riesce a fare a meno di smettere di piangere. 

Non pensa di averlo mai fatto prima, nemmeno nella Torre del Mercato Nero, nemmeno da cucciolo, e ora invece quel liquido salato gli bagna le gote e. Non. Riesce. A. Smettere. 

“Tutto bene?” Chiede Legosi e già sta per entrare nel panico. 

Louis potrebbe dire che sì certo che va tutto bene, che il lupo ha appena infranto quindici leggi interplanetarie o giù di lì solo perché Louis non voleva lasciare quelle povere creature in catene e ovviamente Louis è l’essere più felice nella galassia, forse nell’intero universo ed è tutto merito di Legosi. 

Invece Louis gli prende il muso tra le mani e pianta le labbra sulle sue. 

Il lupo, preso alla sprovvista, rimane impalato. “Louis?” 

“Oh. Scusa.” Il cervo fa un passo indietro, “Pensavo… Ho frainteso.” 

“No!” 

“No?” 

“Mi hai preso alla sprovvista. Ero io che non pensavo…”
“Ah.” 

“Quindi posso…?” 

“Oh, Rex, sei proprio vergine! Non si chiede!” 

“Il consenso è importante.” 

“Sta zitto!”
E Louis lo bacia di nuovo. 

Legosi nemmeno questa volta sa dove mettere le mani, ma se non altro è preparato. È un po’ strano, ma poi Louis gli prende le mani e se le porta sui fianchi. 

Al lupo sembra che il petto gli possa esplodere, le mani gli sudano, non può credere di star davvero baciando Louis, toccando Louis. 

Gli sfugge un ringhio dal fondo della gola, un mugolio che sembra dare al cervo il permesso di approfondire il bacio, socchiudendo le labbra per leccare il bordo affilato dei canini di Legosi. 

Legosi si ritrova schiacciato contro la consolle dei comandi senza nemmeno rendersene conto, le mani di Louis che sbottonano rapide la sua camicia. 

Legosi non è del tutto sicuro di cosa stia accadendo, sa solo che non vuole fermarsi, che non gli sembra vero, così lo lascia fare, anzi lo segue, strattona la sua di camicia fuori dai pantaloni per posare i palmi contro il pelo serico dei suoi fianchi, accarezzando la carne calda del suo addome. 

Louis rabbrividisce contro il suo petto, gli si stringe contro e finalmente - finalmente! - riesce ad avere la meglio dell’ultimo bottone e sfilargli la camicia. 

“Lubrificante.” 

“Eh?” 

“Ci serve del lubrificante, Legosi!”
Legosi, che al momento non sa nemmeno come si chiami, non sa nemmeno se ci sia del lubrificante sulla dannata astronave e il suo contributo è un utilissimo “Uh.” 

Louis scossa la testa, “Beh, allora la scopata di ringraziamento dovrà aspettare,” ma comincia comunque ad armeggiare con la cintura dei pantaloni del lupo e Legosi si sente estremamente stupido - anche se a sua discolpa è perché tutto il suo sangue si trova in una regione del suo corpo che non c’entra niente con il cervello.  

“Che stai facendo?”
“Oh, Rex, Legosi! Ci sono altre cose che si possono fare senza lubrificante.” 

Legosi scossa la testa, cerca di fare un passo indietro come se Louis non lo stesse tenendo per il cavallo dei pantaloni - molto distraente, in ogni caso - e no, non gli si chiariscono le idee affatto, ma una cosa l’ha recepita nonostante l’erezione. “Scopata di ringraziamento, Louis?” 

“Beh?” 

“Non devi venire a letto con me per ringraziarmi.” 

Louis scuote il capo e ridacchia. “Sei proprio un idiota. Pensi che il mio culo valga così poco?” 

Legosi quasi si strozza con l’aria, comincia a tossire e riesce a malapena a gracidare un “scusami?” 

“Se mai dovessi vendermi,” e lo dice con una veemenza tale che Legosi si dà dell’idiota per aver anche solo pensato una cosa del genere, “pensi che sarebbe per uno sciocco sentimentalismo come questo?” 

Legosi scossa la testa in diniego, “È solo che…” 

“Sì, Legosi, voglio davvero venire a letto con te. Rex sa solo il perché a questo punto.”

“Oh.” 

“Se questo non fosse stato chiaro abbastanza,” e Louis gli prende la mano e gliela porta sulla sua erezione. Legosi lo può sentire attraverso la stoffa, il profilo della sua eccitazione, duro e rigido, per lui.   

Gli strappa un mugolio dal fondo della gola, gli porta a galla istinti che pensava di aver sepolto ed è Legosi allora a spingere Louis contro la consolle, a strattonargli via i vestiti e strusciarsi contro di lui, infilarsi tra le sue cosce come se lo stesse montando davvero. 

“Legosi…” Louis geme perché ogni spinta di Legosi tra le sue gambe chiuse fa sfregare la sua erezione contro l’addome dell’altro, ma il lupo gli chiude la bocca con la propria e il cervo non può far altro che gettargli le braccia al collo e muove il bacino al suo stesso ritmo. 

Non ci vuole molto per due adolescenti come sono a raggiungere l’apice e venirsi addosso - fortunatamente senza danni permanenti ai comandi di navigazione su cui sono praticamente sdraiati. 

“Legosi?”
“Uh?” 

“Il tuo battito è strano.” 

“Ho due cuori adesso. È un pacchetto completo con l’astronave.” 

Louis, ormai, ha visto cose più strane. 

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Legosi/Louis

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+ Maritombola 33 - Immagine (Extratombola - Bestiality)


Ci sono fin troppe persone fuori dal teatro quando Legosi arriva. Louis gli ha detto di presentarsi lì davanti anche se non è giorno di prove e anche se le prove normalmente non si svolgono in teatro, ma Legosi pensava fosse soltanto ordinaria amministrazione. 

Invece c’è una folla davanti alle porte chiuse e, se i suoi occhi di lupo non lo tradiscono, hanno tutti in mano uno strumento musicale. 

Ma che -?

“Legosi!” 

Il lupo si volta di scatto verso la voce di Louis. Il cervo è comparso sulle porte e già lo fissa con impazienza.  “Muoviti, Legosi!” 

Se qualcuno si azzarda anche solo a pensare una lamentela sul fatto che l’ultimo arrivato stia passando davanti a tutti, le occhiatacce del cervo e la stazza del lupo servono a fargli mordere la lingua e tacere. 

“Che sta succedendo, Louis?” Legosi chiede, incrociando una giraffa che esce dal bagno asciugandosi le lacrime e stringendo al petto la custodia di un violino. 

“Facciamo le audizioni per l’orchestra di supporto.”
“Non sapevo avessimo bisogno di un’orchestra dal vivo. Pensavo che le tracce audio…” 

Louis sospira, “Non ne abbiamo bisogno. Sono le pecche della diplomazia. Le tracce audio sarebbero sufficienti, ma il club di musica ha troppi membri e non abbastanza tempo per far esibire tutti al concerto di fine anno. Perciò ci é stato chiesto di prendercene in carico qualcuno.”

Ah, già, Louis il pacificatore, a mediare dispute e trovare soluzioni come il novello Beastar che ancora non è diventato. 

Legosi annuisce, “e io a cosa ti servo?” 

“Oh, supporto morale, diciamo così. A meno che tu non sappia suonare uno strumento.” 

“No,” Legosi ha un brivido al ricordo di tre stonatissime lezioni di pianoforte da bambino che sua madre aveva insistito prendesse, “ma anche se fosse, Louis, non siamo qui solo per un’audizione, vero?” 

Il cervo ride, “Sapevo che eri un lupo intelligente.” 

Louis lo fa sedere in terza fila accanto a lui e Legosi ancora non ha capito quale esattamente sia il motivo per cui è qui. 

Sul palco c’è già un leone, la lunga criniera legata in una coda e una chitarra a tracolla. 

“Avanti, facci sentire qualcosa,” il cervo gli dà il via e Legosi trova che il leone non sia nemmeno così male, solo che dopo appena qualche accordo sbaglia una nota. Nella penombra della platea, Legosi sbircia Louis contrarre la mascella ad ogni nota sbagliata e uh, no, ritira tutto, non promette affatto bene, non che lui se ne intenda di musica. 

Legosi è talmente distratto che non si accorge della mano che Louis gli ha posato sul ginocchio finché questa non comincia a risalire lungo la sua gamba, accarezzandogli lentamente le cosce. 

Il lupo rabbrividisce, vorrebbe fermarlo perché questo non è il momento, ma quando mai è riuscito davvero a fermare Louis? 

Louis continua ad accarezzarlo attraverso la stoffa, in lunghi movimenti che seguono la cucitura del jeans e che lo fanno diventare matto, perché si fermano giusto appena prima di arrivare a toccarlo davvero. 

Legosi si dimena sulla poltroncina e divarica leggermente le gambe, ma Louis sembra ignorare il suggerimento. 

“Non dirmi che mi hai chiamato qui solo perché ti stavi annoiando,” il lupo ruglia, la voce arrochita dall’eccitazione e il cervo si volta verso di lui e ghigna. In sottofondo il leone sbaglia un’altra nota e la mano di Louis finalmente risale fino al suo inguine, traccia con le dita i contorni del suo cazzo attraverso la stoffa, lo sente diventare duro premendoci il palmo sopra. 

“Louis!” Legosi ringhia, e respira profondamente per cercare i calmarsi. 

Il leone sul palco sbaglia l’ennesima nota e Louis rotea gli occhi come a dire, ‘vedi? Vedi che mi tocca sopportare?’ 

Legosi lo fulmina con gli occhi e il cervo ridacchia, come se metterlo in difficoltà fosse l’apice della sua giornata. 

“Va bene, grazie, è sufficiente, puoi andare.” 

“Oh, ok. Come sono andato?” Il leone chiede speranzoso. 

“Come sei andato?” Louis ripete, spingendo sulle parole con incredulità e sarcasmo, come se la risposta non fosse evidente e Legosi sa che si sta preparando a vedere un altro animale lasciare in lacrime il palco - o peggio, cercare di uccidere Louis, perché quando ci si mette riesce a togliertelo dagli artigli l’istinto omicida. - quindi posa una mano sul ginocchio di Louis e stringe. 

Il cervo sembra recepire il messaggio, perché tutta la tensione si dissipa e conclude la frase con un debole, “Bene, ti faremo sapere.” 

Il leone annuisce e se ne va, fortunatamente non in lacrime. 

“Non gli farai sapere.” 

“Certo che no. Non lo hai sentito?”

Legosi potrebbe rispondere che no, era piuttosto distratto. “Già, non va bene per l’orchestra.” 

“Non va bene per niente. Ci hanno mandato un branco di incapaci che non vogliono far suonare nemmeno loro e io dovrei trovare il modo di sceglierne qualcuno e allo stesso tempo non farmi rovinare lo spettacolo.” 

“Troverai una soluzione, ma asfaltare quei poveretti non mi sembra possa aiutarti a trovarne uno decente.”

“Sei troppo buono,” Louis gli dice contrariato. 

“Non sono qui apposta per contenerti? Che ne sarebbe di diventare Beastar se mandassi all’aria la diplomazia?” 

“Sapevo di aver fatto bene a chiamarti.” E poi “Il prossimo!” 
Legosi sospira, sentendo la mano di Louis tornare al suo inguine. 
"Louis..."
 
Il cervo ridacchia e gli apre la patta nella penombra del teatro. 
Legosi cerca di non gemere quando la mano di Louis si chiude intorno alla sua erezione - potrebbe andarsene, certo, ma quando mai Legosi non fa quello che Louis vuole?
Il cervo lo porta all'apice senza battere ciglio e poi, proprio mentre Legosi si dimena sulla poltroncina, così prossimo a venire, così vicino, solo un'altro po' - Louis lo lascia andare per applaudire. Legosi apre gli occhi di scatto, in tempo per vedere una zebra fare un inchino, un flauto stretto tra le mani. Eh?  
"Molto bene, miss, perfetta. Abbiamo il primo membro della nostra orchestra."
La zebra si allontana contenta e "Che cazzo, Louis?" 
"Non vale se l'unico frustrato sono io." 

Alla fine, Legosi dovrà ringraziare la pausa pranzo - e la pausa merenda e anche la pausa cena - perché altrimenti il cervo l'avrebbe fatto diventare matto.  Oh, certo non riuscirà a sedersi per i successivi tre giorni probabilmente - lo sgabuzzino è un po' troppo stretto per stare piegati a novanta sul mobiletto dei detersivi e uscirne indenni - ma Legosi non può dire che lasciar sfogare la frustrazione di Louis non sia un buon modo di passare il sabato. 


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Legosi/Louis

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Maritombola 77 - X si decide a cercare finalmente un pegno d’amore degno di Y (Extratombola - Bestiality)


Notes: 

Title’s in Italian, taken from “Il dono del cervo” by Angelo Branduardi (‘cause why not, I title half of my Italian shit in English, might as well do it the other way around this time). Besides it was perfect for prompt 77 *wink wink* 

The prompt is more about finally taking the decision, instead of searching for the actual gift.


Legosi gets used to waking up in the middle of the night, drenched in cold sweat and aroused, feeling like crying and throwing up and jerking off. 

It’s because he dreams of it every night. 

It’s not just the fight, even if he had almost died, no, that’s not what he dreams about. 

Legosi dreams of Louis’ body, hot and vibrant, pressed under him, of the sound of Louis’ heart, beating frantic in his chest, fear and expectation both rushing in the deer’s veins, taking over his smell. He dreams of burying his muzzle in Louis’ chest, of inhaling his sweat, of the raspy sensation of Louis’ fur against his lips, the muscles of his leg contracting against his tongue. 

He dreams of a broken curse, of a carved number swallowed whole, an invisible chain dissolved by stomach acids. 

Legosi dreams of blood dripping from his fangs and bones breaking in his mouth and flesh filling his throat. 

And then Legosi keeps dreaming. 

Not about fighting Riz, no, Legosi dreams of eating Louis whole, of eating his leg and then keep eating, of not being able to stop. He dreams of Louis closing his eyes and not resisting. He dreams of an altar and he dreams of Louis giving himself up, sacrificing himself, of Louis putting his hand over his own chest and taking out his heart, of Louis feeding it to him. 

Legosi dreams of biting it, blood spurting from the pressure, and of chewing it, of chewing and chewing until his jaw aches and he can no longer open his mouth and he dreams of Louis, with a hole in his chest, kissing him, licking his own blood from his lips, prying them open with the strength of his sheer will, of Louis taking his face in his hands and leaving the print of his bloodied hands on his fur

Legosi dreams of Louis dragging him down over him, between his spread legs, and taking him in,  giving himself up in a different way, he dreams of the deer’s leg and stump closing around his waist, not allowing him to leave, and clenching and crushing him, pushing the wolf deeper inside him as he is inside Legosi - blood and sex reflecting in a skewered mirroring - and keeping him there as he presses his hand inside his mouth and whispers, “Bite me, Legosi,” and Legosi… 

Legosi startles awake with a throbbing cock and bile rising in his mouth. He’s salivating, for goodness’ sake, like a feral animal in the wild. 

He disgusts himself. 

Legosi gets up, starts pacing to get rid of all the sensations - he refuses to take a shower, a long hot shower where he could jerk off on the thought of eating and fucking Louis, fuck no, even if Gohin told him it would help. 

That’s not a particular train of thoughts he wants to follow. 

You repress it too much, it has to get out somehow, and so you dream about it. You need to face what you feel for Louis and solve it, or else someday you’re gonna snap and you’re gonna end up eat him and I won’t allow it, do you understand Legosi? 

But Gohin doesn’t understand - how could he? He never met Louis, and even if he had, he wouldn’t know him as Legosi does.
The panda wouldn’t understand, doesn’t understand. 

It’s not about eating meat. 

It’s not about instincts or predation or the food chain. It’s not about Legosi at all. 

It’s Louis, it’s always been about Louis.

Even when they thought it didn’t matter, the red deer had given him his extended hand on a stage in front of the whole school and his pain by doing it on a broken leg. 

And then it did matter, for Louis gave a part of himself up to save Legosi’s life, he immolated himself just so Legosi wouldn’t be killed. 

Louis cried for him, gave him his flesh, his tears, his trust and his life to dispose of - only because he wouldn’t want to live in a world without Legosi. 

And Legosi took it all. 

He took and took and took, he ravaged and tore and, maybe that’s the problem. Maybe it’s time for Legosi to give something back. 

And he just knows where to start. 

From Louis’ seventh gift. 

And then, all the others would follow. 


 

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