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Harry Potter/Good Omens
Harry Potter/Adam Young
COW-T#12, w6, m3: Credo proprio che diventeremo amici
 

E dunque, tu vuoi una storia. 

È buffo, nessuno mi ha mai chiesto una storia prima.
Di solito sono tutti molto più interessati a raccontarmi la loro, a cercare convincermi a non portarmi via la loro anima proprio adesso, perché hanno mille altre cosa da fare che non sono riusciti a fare prima del mio arrivo. 

Se non sono in ritardo li lascio parlare, sai? Ho sempre adorato le storie - capita, quando ti tocca di sorbirti sempre e solo il finale. Non che serva loro a qualcosa, se non a guadagnare una manciata di minuti in più che comunque passano con me. 

Però nessuno ha mai voluto che fossi io a raccontare…

E va bene, non garantisco sulle mie capacità di narratrice, ma conosco la storia che potrebbe fare al caso nostro.
Dopotutto, come ti dicevo, in millenni di esistenza ne ho conosciute di persone che hanno tentato di sfuggirmi, di esorcizzarmi, di imbrogliarmi o di corrompermi e nessuno di quei ciarlatani aspiranti immortali è mai riuscito ad ottenere niente di diverso dal normale e fisiologico svolgersi degli eventi. Io arrivo e loro vengono via con me. Sempre. 

Beh. Quasi sempre. 

Ci sono state due grandi eccezioni. 

Ed è questa la storia che vuoi sentire, non è vero? Ho catturato la tua attenzione. 

D’accordo, siediti. 

La prima persona di cui ti parlerò è Adam, perché Adam me lo aspettavo.

Cioè, non mi aspettavo proprio Adam, ma sapevo che qualcuno come lui prima o poi sarebbe arrivato. In fondo l’Apocalisse era già nella prima bozza del contratto di lavoro, prima che negoziassi le ferie, per cui sapevo che prima o poi sarebbe arrivato l’Anticristo a guidarmi in battaglia insieme agli altri Cavalieri e alla fine sarei potuta andare in pensione, proprio come Pestilenza. 

Ovviamente siamo qui a parlarne e il mondo sta ancora girando attorno al proprio asse per cui avrai capito che l’Apocalisse non c’è stato, ma questo dovresti saperlo già. E poi non voglio davvero raccontarti, di come un bambino di undici anni abbia deciso che alla fin fine il Giudizio Universale non fosse l’opzione migliore per il genere umano. Non è così divertente, fidati, io c’ero. È stato tutto un gran girare a destra e a manca per tutto il mondo per poi essere congedati senza nemmeno un ‘grazie per l’attenzione, ma non servite’. Mettiti nei suoi panni, quale undicenne sceglierebbe l’Apocalisse con la terra che si spacca e i fiumi di sangue piuttosto che andare a prendere un gelato con i suoi amici? Non per parlare male di nessuno, ma chiunque avesse pianificato la cosa non aveva pensato davvero bene a cosa stesse facendo. 

Oh, ma sto divagando. Dicevamo? 

Ah sì! 

Parliamo di Adam. 

 “Pronto?” 

“Adam!” 

“Sì?” 

“Dovresti venire qui. Subito!” 

“Ma chi è?” 

“Adam! Sono Anathema! Sophia è finita su un albero e non riesco a farla scendere!”
“Anathema? Ma che ore sono?” 

“Le sette e mezza, non fare il brontolone, non è così presto! Solo che non vuole scendere e io devo andare a lavoro. Ti prego!” 

“Anathema, non puoi chiamarmi tutte le volte che tua figlia fa qualcosa di paranormale…” 

“Adam! Sono le sette e mezza, sono in ritardo su tutte le tabelle di marcia possibili, Newt non è qui ad aiutarmi e tu sei l’unico che la può far volare giù da quel ramo se non decide di scendere spontaneamente. Non farmi giocare la carta del ‘chi ti ha aiutato quando pensavi di doverti far internare in manicomio’, ok?” 

“Va bene, va bene, sto arrivando. Ma, Anathema?”
“Sì?”

“Tua figlia sarà pure quella con i poteri magici, ma la vera strega sei tu.” 

“Oh, Adam, sei sempre un adulatore.” 

 

- - - 

 

La storia del manicomio è parecchio buffa. 

No, in realtà, non è affatto buffa. Allora era stato piuttosto un incubo e anche adesso a ricordare i fatti non è che ci sia tanto da ridere, ma lo humor e l’ironia a volte sono i modi migliori per affrontare un trauma, così Adam riesce a parlarne anche casualmente in qualsiasi conversazione, quasi non fosse stato in lacrime e sull’orlo di un tracollo nervoso quando si era presentato alla porta della strega del villaggio a sedici anni.
Con Anathema fino ad allora aveva sempre e parlato solo occasionalmente, incontrandola per la strada. Per qualche motivo lei sembrava averlo preso in simpatia - nonostante lui non ricordasse di aver scambiato che qualche chiacchiera con lei sulle streghe e l’inquisizione la prima volta che si erano conosciuti - e si interessava sempre abbastanza da chiedergli come andasse la scuola, cosa facesse di bello o come stessero i suoi amici. 

Si era sentito un po’ a disagio nel suonare il campanello. Come si chiede a qualcuno quanto di vero c’è nella sua filosofia di vita e se potrebbe essere coinvolto anche lui nella stregoneria, perché altrimenti l’alternativa sarebbe dover andare da un dottore di quelli bravi? 

Alla porta aveva risposto Newt e Adam era già stato pronto a voltare i tacchi e andarsene quando la strega era comparsa alle spalle del marito e lo aveva praticamente trascinato in casa, al grido di “sciocchezze, Adam, non disturbi! Vieni pure! Cosa succede?” 

Adam aveva deciso che avrebbe bevuto il tè che gli veniva offerto - perché una bella tazza di tè bollente è la soluzione ad ogni cosa -, avrebbero scambiato i convenevoli di rito, negando di avere un qualsiasi problema e sarebbe tornato a casa. 

Invece Anathema non aveva fatto domanda, piazzandogli davanti una tazza fumante di quella che lei chiamava ‘la sua Pozione Calmante, ricetta della buona e cara Agnes Nutter, strega’ con tanto di occhiolino coordinato. 

Adam non sapeva quale intruglio di erbe Anathema ci avesse gettato dentro, ma aveva cominciato a percepirne gli effetti quasi immediatamente e, senza nemmeno accorgersene, aveva cominciato a blaterare. 

 

* * * 

 

Adam aveva sempre saputo che c’era qualcosa che non andava in lui, qualcosa che lo rendeva speciale a prescindere dai complimenti di sua madre, - che si sa, ogni figlio è un piccolo fiocco di neve speciale per i propri genitori -, ma la conferma l’aveva avuta ad undici anni. 

Oh, beh, dopotutto, undici anni è il momento perfetto per le grandi rivelazioni, vedrai. 

In ogni caso, Adam sapeva che non tutti potevano muovere gli oggetti solo pensandolo o cambiare il tempo perché splendesse sempre il sole, ma non aveva idea di che cosa significasse, non fino a quando non aveva fermato l’Apocalisse. 

Sempre che fosse accaduto davvero. 

Sì, perché una parte del suo cervello lo dava per scontato - ‘certo che accadono cose strane vicino a te, è nel tuo corredo genetico’-, mentre l’ altra parte ignorava bellamente la cosa e si stupiva puntualmente quando accadeva qualcosa di fuori dall’ordinario. 

Le due parti avevano convissuto in armonia per buona parte del tempo, specialmente nel periodo subito successivo al mancato Apocalisse. Potevano passare anche intere settimane senza che Adam dovesse ricordare di non essere completamente umano. C’erano giorni in cui non gli sembrava che un sogno e per un po’ aveva persino creduto di essersi immaginato tutto. 

Con il passare del tempo però avevano cominciato a comparire delle crepe nel perfetto muro di contenimento che gli permetteva di rimanere sano di mente. 

C’erano cose che non quadravano e diventava sempre più difficile ignorarle. 

I suoi amici avevano… beh, non dimenticato, non proprio. Se Adam glielo avesse chiesto sarebbero stati in grado di dirgli a grandi linee che cosa era successo, ma non tutto e non esattamente e non sempre. I dettagli erano confusi e sfumati, così intrecciati con il normale tessuto della realtà circostante da non preservare traccia di magia o sovrannaturale, spesso richiamati a fatica dalle profondità dell’oblio delle loro menti, a volte contraddittori, ma sempre a formare un quadro incompleto. Sembrava quasi che non fossero in grado di ricordare, come i losers di IT che avevano perso la memoria di Derry una volta che se ne erano andati. 

Solo che i suoi amici non se ne erano andati affatto. E Adam sapeva che, a tredici anni, non avrebbe dovuto leggerlo quel libro dell’orrore - Mr Phele glielo aveva ripetuto più volte, che non era adatto -, ma a volte provava quell’impulso di ribellione dalle figure autorevoli che faceva tanto storcere il naso al suo giardiniere e gli faceva mormorare un ‘tutto suo padre’ anche se non aveva senso perché suo padre non si era mai ribellato neanche quando il suo capo gli aveva imposto gli straordinari la vigilia di natale. 

Ma quella era solamente la punta dell’iceberg, perché nemmeno la presenza di Mr Phele era logica. Non aveva senso che, vista la piccola casetta in cui vivevano, loro avessero bisogno - o anche solo si potessero permettere - un giardiniere, né che quello si fosse presentato a lavorare da un giorno all’altro e i suoi genitori lo avessero accettato senza battere ciglio, proprio come non avevano fatto domande per la comparsa di Dog. 

Per non parlare della tata, Miss Crow, che era comparsa da un giorno all’altro come Mary Poppins, portata dal vento, quando sua madre era stata sufficiente per i precedenti undici anni, con giusto un’aiuto nei weekend, quando chiamava una studentessa delle superiori perché lo tenesse d’occhio mentre lei e suo padre andavano al cinema. 

Non. Aveva. Senso.
Non aveva senso perché quando aveva incontrato la sua precedente babysitter, ora studentessa universitaria, e le aveva chiesto come mai avesse smesso di occuparsi di lui lei gli aveva detto che era stato perché voleva concentrarsi sugli studi ora che avrebbero occupato buona parte del suo tempo. Solo che tre giorni dopo lo aveva fermato per strada, con un sorriso e un “è tanto tempo che non ci vediamo, Adam! Che peccato che poi tua madre non abbia più avuto bisogno di una babysitter, vero? Ci divertivamo così tanto!” 

Così Adam aveva preso il suo mal di testa, il suo panico e la sua preventiva autodiagnosi di schizofrenia e aveva fatto l’unica cosa possibile. 

Andare dalle uniche due persone che, in tutto quel caos, sembravano essere rimaste sane. O almeno, non più pazze di quanto non lo fossero prima. 

 

* * * 

 

Anathema e Newt avevano ascoltato la sua storia senza interrompere, senza dargli del pazzo e soprattutto senza mettere su quell’espressione di compatimento da ‘povero caro’. 

Adam aveva finito di parlare, la gola secca, gli occhi lucidi e la tazza vuota. “Non ci capisco più nulla.” 

Anathema e Newt si erano scambiati un lungo sguardo che portava una conversazione ancora più lunga, poi Newt aveva sospirato e intrecciando le mani sotto il mento si era chinato verso di lui. “Ok, così è come ce la ricordiamo noi.” 

E forse era perché entrambi erano coinvolti nella parte sovrannaturale dell’universo già da prima e il salto dalla stregoneria ai demoni, gli angeli e l’AntiCristo non era così grande da farli impazzire, ma Anathema e Newt avevano superato la storia dei ricordi confusi già dopo qualche settimana dal mancato Apocalisse. 

“Ricordati che ho vissuto tutta la mia vita seguendo e interpretando le previsioni di una donna morta secoli fa. Niente è abbastanza strano da fermarmi, neanche un paio di ricordi annebbiati,” Anathema aveva sorriso, posandogli una mano sulla spalla in conforto. 

La parte razionale di Adam era orripilata, voleva scappare e mettere più chilometri possibili tra quei due pazzi che avevano appena confermato che tutto quello che pensava di essersi inventato, in realtà, era accaduto. A un livello più profondo, Adam però aveva capito che il problema non erano le cose folli che gli accadevano in torno, ma le vestigia di incredulità che il suo cervello si ostinava a mettere in piedi anche contro l’evidenza. 

“Io - io - Oh, cielo. Io sono l’AntiCristo.” 

“Sì, Adam, penso che dovrai abituartici.” 

“Credo che andrò a vedere come sta Agnes,” aveva detto Newt. 

“Si chiama Sophia!” Anathema aveva rimbrottato, strappando un sorriso ad Adam, che, come tutto il resto del paese, era a conoscenza delle perenne diatriba sul nome della bambina, tra suo padre, che insisteva a chiamarla in un modo per onorare la memoria della strega che aveva profetizzato l’incontro con Anathema, e sua madre che invece non ne poteva più delle interferenze dell’antenata. (‘Sono un branco di pazzi,’ aveva detto l’impiegata dell’anagrafe dopo una settimana di tira e molla prendendo in mano la situazione e chiamando d’ufficio la bambina Agnes Sophia, “un branco di pazzi, povera bimba’.) 

Di quel passo la ‘povera bimba’, che già aveva tre anni, si sarebbe ritrovata con un disturbo della personalità.

“Sophia! Come la conoscenza, che avrà perché avrà l’occhio e questo dovrebbe già bastarci senza imporle il nome della mia bis-bis-bis-avola!” Anathema aveva incrociato le braccia al petto con uno sbuffo. 

Adam si era lasciato sfuggire una risata sollevata, la prima da quando aveva cominciato a pensare di star impazzendo e di dover essere rinchiuso in un manicomio. 

“Oh, e penso che dovresti andare a fare qualche domanda anche al tuo giardiniere e alla tua tata, visto che ci sei, penso che potrebbero darti una versione ancora più dettagliata di quello che è successo in realtà.”

Così Adam aveva ottenuto tutta la storia. 

 

 

Non mentirò - e perché dovrei - Adam non la prese benissimo, ma comunque meglio di quanto mi sarei aspettata. Ero lì ad osservarlo, sai? Io sono sempre con lui. Gli altri Cavalieri erano stati congedati, ma la morte è ovunque, in attesa, e dunque non avrei potuto allontanarmi da lui nemmeno se avessi voluto. 

Ero nell’ombra all’epoca, una mera presenza che aleggiava attorno a lui, una frazione dormiente della mia coscienza, se coscienza si può chiamare quello che sono. Ma quando divenne consapevole di cosa fosse, quando ogni piccola incongruenza poteva essere spiegata da quello che gli avevano confermato Anathema e Aziraphale e Crowley, non ci volle molto perché il ragazzo cominciasse a riconoscermi e a parlarmi. 

Ben presto mi ritrovai ad essere con lui, molto più di quanto ero nel mondo. E poi avvenne quello che avvenne. 

Già, è ora di parlare di Harry. Non avrai mica pensato che mi fossi scordata di lui? 

 

 

Harry aveva una particolarità già molto prima che accadesse quello che è accaduto. Forse era destino, scritto nelle stelle fin da prima della sua nascita, profetizzato da un’altra strega, non altrettanto prolifica di premonizioni quanto Agnes, ma comunque una Veggente notevole. 

In ogni caso, Harry Potter non moriva. 

Non che sfuggisse consapevolmente alla Morte, era soltanto un bambino di poco più di un anno la prima volta che quella avrebbe dovuto prenderlo con sé. E invece semplicemente tutte le condizioni che si sarebbe dovuto verificare perché lui morisse erano stato ritorte, e il bambino era sopravvissuto contro ogni logica. 

Era sopravvissuto e aveva continuato a sopravvivere negli anni nonostante maghi oscuri, basilischi e draghi si impegnassero a metterlo in situazioni dalle quali era logico non sarebbe potuto sopravvivere. E invece. 

Poteva sembrare una casualità, all’occhio meno esperto, fortuna sfacciata l’avrebbe chiamata qualcun altro. Ma poi Harry aveva riunito i Doni della Morte e no, il titolo di Padrone della Morte non era metaforico.

 

* * * 

 

Essere un Auror era stato divertente… più o meno per i primi dieci minuti. Forse sarebbe pure potuto piacergli come lavoro se solo lui non fosse stato Harry Potter, dannazione al suo nome. Un’Auror avrebbe dovuto essere discreto, non attirare l’attenzione delle masse, e il suo nome lo aveva reso il centro di diverse trappole piazzate dallo zoccolo duro dei seguaci di Voldemort che ancora non si rassegnavano della sua sconfitta. 

Quando si era deciso a consegnare le dimissioni era stato un sollievo sia per Harry che per il Ministero, che certo non si poteva permettere di licenziare l’eroe della seconda guerra magica. 

Non aveva saputo che fare, Harry della sua vita, ma poi Minerva - dannazione quanto gli faceva strano chiamarla in quel modo - gli aveva proposto la cattedra di Difesa COntro le Arti Oscure, che chi meglio di lui avrebbe potuto ricoprirla ed Harry, che aveva sempre considerato Hogwarts come la sua vera e unica casa, aveva accettato. 

Era ironico, perché se gli avessero chiesto ad undici anni cosa ne sarebbe stato del suo futuro, mai avrebbe potuto immaginare che sarebbe finito così: un accademico. E per di più un accademico che cercava di ampliare il suo campo di studi. 

Quando aveva detto ad Hermione che avrebbe voluto fare ricerca - e su cosa -, l’amica aveva sgranato gli occhi e si era portata una mano al petto, “Chi sei tu e che nei hai fatto di Harry Potter?” 

Sì, il resto della sua vita non era andata esattamente come si era aspettato, lui e il resto del mondo, perché in quel momento stringendo al petto il tomo dalle fragili pagine scritte in una lingua che probabilmente aveva la stessa età della sua improbabile aiutante, si era sentito stranamente realizzato. 

“L’ho trovato!” 

“FINALMENTE. ORA POTREMMO TORNARE A CASA,” aveva detto la nera figura alle sue spalle, senza traccia di appropriato slancio nella voce. 

“Un po’ più di entusiasmo sarebbe gradito. Dopotutto questa scoperta è in gran parte merito tuo.” 

“E PER L’UMANITÀ, HIP HIP, HURRÀ.” 

“Non sei divertente.” 

“DIO NON VOGLIA. L’UMORISMO NON FA PARTE DEL CONTRATTO DI LAVORO. ACCOMPAGNARTI IN GIRO PER IL MONDO ALLA RICERCA DI UN TOMO SULLE ARTI OSCURE E COME COMBATTERLE SÌ PURTROPPO, MA ALMENO MI È ANCORA CONCESSO DI FARLO CON TUTTA LA VERVE DEL CASO.” 

“Risparmiami,” Harry aveva alzato gli occhi al cielo. 

“NON LO FACCIO FORSE TUTTI I GIORNI?” 

“Oh Merlino, per favore.” 

“LO SAI” disse la Morte, “SEI PARECCHIO NOIOSO PER ESSERE COSÌ POTENTE.” 

“Che ti aspettavi?” 

“PIANI DI CONQUISTA DEL MONDO, VENDETTE PERSONALI PORTATE A TERMINE,  UN ALTRO APOCALISSE… NON QUESTO.” 

Harry si era rifiutato di chiedere cosa intendesse la Morte per ‘altro’, perché no, aveva già troppi problemi, grazie,“Definisci questo.” 

“PASSARE TUTTO IL TUO TEMPO IN UNA BIBLIOTECA. HO PIÙ VITA SOCIALE IO E SONO LA MORTE.”

“Intanto questa è una cripta nel mezzo del nulla, protetta da pericolosi incantentesimi -”

“NON FARMI RIDERE, SEI IMMORTALE.”  

“E comunque non ho bisogno di una vita sociale, grazie. Ne ho già avuta abbastanza per bastarmi due vite.” 

“PECCATO. NE CONOSCO UN ALTRO DI TIPO COME TE -”

“Annoiato, dedito al lavoro e, soprattutto, immortale?”
“SÌ.” 

Harry si era voltato di scatto verso la figura nera, credendo che scherzasse, “Come scusa?”

“SAI, DOVREI PROPRIO PRESENTARTELO.” 

 

 

Mi piacerebbe prendermi il merito di averlo fatto davvero, sai, ma alla fin fine l’Universo ha lo strano senso dell’umorismo di far accadere quello che deve accadere a prescindere dalle circostante. Così quando li ho presentati ufficialmente, l’Anticristo e il Padrone della Morte, loro si conoscevano già, erano Adam e Harry. 

Quella prima volta non ero presente - e perché avrei dovuto? Il mio Padrone, l’Anticristo e due donne molto competenti (anche se allora Agnes Sophia aveva soltanto undici anni). Chi mai poteva morire lì, eh?
Ovviamente avevo altro di meglio da fare

 

- - - 

 

Anathema ha le braccia incrociate sul petto e un cipiglio scuro in volto che farebbe indietreggiare  Satana, “Sophia, scendi da quell’albero.” 

“No!” 

La bambina si aggrappa al ramo, dondola i piedi e le fa una linguaccia. 

Anathema è a tanto così dall’andarsene e lasciarla sull’albero, quando una voce alle sue spalle interrompe i suoi pensieri. 

“Mrs. Pulsifer?” 

Anathema ruota suoi tacchi e si ritrova davanti un ragazzo il cui aspetto nulla ha a che fare con l’aura che emana. È potente, lo percepisce, in un modo che forse aveva sentito soltanto quando Adam era un bambino, eppure ha l’aspetto di un innocuo bibliotecario

“Device, prego. Ho tenuto il mio cognome. Come posso aiutarla?”

“Mi scuso Mrs. Device. Sono Harry Potter e sono qui per sua figlia Agnes Sophia.” 

“Cosa ha combinato?” 

“Niente, assolutamente,” quello scuote la testa, “Tuttavia sono sicuro che si sia accorta anche lei che accadono cose strane intorno ad Agnes…” 

“Sophia,” lo corregge di riflesso Anathema, e poi inclina la testa, assottigliando gli occhi per studiarlo meglio, “Per caso lei è un angelo, un demone o qualcosa di vagamente legato al prossimo Apocalisse? Perché non ci interessa partecipare.”

“Io - veramente - io sono… Le sembrerà folle, ma io sono un mago, in realtà.” 

“Ah,” Anathema sospira, nemmeno un po’ impressionata, né scandalizzata. “Tutto qui?” 

“Vede,” Harry continua, già sollevato che la donna non abbia chiamato un manicomio, ma forse quella più pazza qui è lei, “sono un insegnate presso una prestigiosa scuola di magia ed è nostra convinzione che sua figlia sia una strega, quindi sono qui per offrirle-” 

“Certo che mia figlia è una strega,” Anathema lo interrompe, alzando gli occhi al cielo, “la prossima cosa che mi dirà qual è, che per fare il tè serve l’acqua calda?” 

Harry rimane spiazzato per l’ennesima volta. “D’accordo,” continua incerto, “di solito i Babbani non accettano così facilmente l’idea che la magia esista.” 

“Ho avuto streghe nella mia famiglia per generazioni, signor Potter,” Anathema pronuncia il suo nome senza particolare ammirazione, “Solo perché negli ultimi secoli siamo stati Maghinò con troppa poca magia per frequentare Hogwarts non significa che siamo diventati tutti idioti. Adesso, se vuole scusarmi, devo far scendere mia figlia dall’albero sul quale è volata, per lasciarla alla baby sitter.”

È in quel momento, mentre la bambina dondola i piedi da un ramo, Harry sta cercando di capire se la donna abbia accettato o meno di far frequentare alla figlia Hogwarts e Anathema sembra sul punto di esplodere, che lui arriva. 

“Anathema? C’è qualche problema?”

Anche se la domanda è rivolta all'amica, Adam non stacca gli occhi dallo sconosciuto come a saggiarne le intenzioni. 

Anathema che non è mai stata una damigella da salvare alza le mani al cielo, "Finalmente, Adam! Ce ne hai messo di tempo." 

"Beh, non sono a tua disposizione," il ragazzo si rilassa pensando che se Anathema ha tempo per preoccuparsi della sua puntualità quello sconosciuto magari sta solo cercando di salvare una bambina in una situazione apparentemente incresciosa. Adam si massaggia il ponte del naso sperando di non finire con un mal di testa. 

"Convincila tu a scendere, Adam, non so più che altro fare." 

"Non capisco perché pensi che dia più retta a me che a te, sei tu sua madre." 

"Ma tu sei lo zio preferito." 

In tutto questo Harry ha altre tre famiglie di Nati Babbani da visitare, nella speranza di non trovarsi con altre sorprese come questa. 

"Permette?" chiede dunque prima che il battibecco possa prolungarsi oltre. 

Adam lo osserva estrarre un bastoncino dalla tasca e muoverlo nell’aria in un ghirigoro strano e una parola in latino che non riconosce. 

Considerando tutto quello che sa del mondo e che le stranezze tendono a gravitargli attorno, non è poi così strano che il risultato sia che Agnes Sophia venga depositata ai piedi dell’albero senza nemmeno un graffio. 

“Oh, meno male,” Anathema sospira afferrando la figlia per la mano prima che possa decidere di tornare sull’albero. “Poteva farlo prima, ma grazie, signor Potter. Ora noi dobbiamo andare che siamo tremendamente in ritardo, ma ci risentiremo per la visita a Diagon Alley e i materiali scolastici, giusto?” 

Harry prova a rispondere ma Anathema sta già correndo via prima ancora di aver finito di parlare ed è troppo lontana per udire alcunché. 

“È riuscito a tirare giù Sophia dall’albero. Impressionante,” Adam si lascia scappare un sorriso, voltandosi per incontrare lo sguardo dello sconosciuto. “Lei è…?”
“Harry Potter, insegnante di Difesa contro le Arti Oscure presso la scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts.” 

Harry tende la mano. 

“Adam Young,” gliela stringe l’altro. 

Ed eccolo, il momento a cui tutta questa narrazione ha teso: l’incontro, l’instante in cui le loro pelli si toccano e se lo sentono addosso l’alone della Morte che li accompagna ma non li può toccare. La somiglianza tra loro, qualcosa che non si aspettavano di incontrare in nessun altro, che li aveva sempre resi così diversi dal resto del mondo e che ora hanno incontrato quasi per sbaglio. Come se l’universo potesse mai sbagliare.
Si studiano in quella che sembra una frazione di secondo e poi Harry emette il suo verdetto. 

“Credo proprio che diventeremo amici.”


Oh, ma come sai, alla fine sono diventati molto di più. 


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16. GOOD OMENS
Aziraphale/Crowley 

100 parole

Aziraphale si dice che non ha passato le decadi a cercare l'ombra di Crowley in ogni angolo. Se lo dice, ma è un peccato perché gli angeli non dovrebbero mentire. 

È strano perché lui e il demone hanno sempre avuto questo magnetismo, come due poli di una calamità per cui andasse dove andasse l'angelo ci incappava continuamente fin dai tempi dell'Eden. 

E poi più niente. Pensava di averlo visto nel 1832 vicino ad un bagno, ma forse si era sbagliato.

Così, non c'è niente di strano se quando lo incontra il secolo dopo, gli getta le braccia al collo.

 
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Fandom: Good Omens
Ship: Aziraphale/Crowley
Rating: Giallo
Wordcount: 1621
Prompt: Disco eleganza

Aziraphale direbbe che Crowley ha una vera e propria ossessione per le sue ali. 

Non è che gli dispiacciano le attenzioni ma l’angelo si domanda se dietro la richiesta di vedere le sue ali ogni volta che si separano dopo un incontro non ci sia un dolore profondo per aver perso il candore delle proprie. Crowley infatti non si limita a guardare, il demone deve toccare, esaminare, una volta ha persino affondato il naso tra le piume iridescenti. 

Aziraphale non sa cosa ci sia dietro. Sa solo che è iniziato una notte del 1976. I suoi ricordi sono un po’ confusi perché ammette di essersi lasciato ubriacare - e forse altro, potrebbe o meno aver accettato un qualche altro preparato umano che abbia interferito con il suo corpo di carne prestata e  aver indugiato nelle sensazioni senza essersi costretto a smaltire la sbornia come avrebbe dovuto. 

Ora che ci pensa in questi termini Aziraphale si domanda - arrossendo - come sia possibile che non sia ancora caduto. 


* * * 


Gli anni Settanta per Crowley sono una macchia confusa, una sbavatura sulla sua linea temporale, piena di cose che potrebbero essere successe o meno, che lui potrebbe aver sognato dopo aver lasciato sciogliere un francobollo di LSD sulla lingua ancheggiando ubriaco in una discoteca di Soho. È quasi certo di essersi trasformato in serpente davanti a qualcuno una volta, ma in ogni caso erano tutti in pieno delirio allucinogeno, quindi non importa. 

La nebbia che è stato quel periodo per lui si era interrotta improvvisamente una notte, quella in cui ha rischiato di far perdere la ali ad Aziraphale. Crowley non sa se il rischio sia mai stato reale, se non sia soltanto una sua paranoia e Aziraphale non abbia mai davvero corso il rischio di cadere, ma per la prima volta in secoli si era reso conto di una cosa: gli importava. 

E Aziraphale non era caduto, non quella volta, ma Crowley non poteva sapere se non fosse stato ad un passo dalla caduta ad ogni singola parola che si erano scambiati. Dopotutto Crowley è caduto nella stesso modo, frequentando compagnie sbagliate, facendo troppe domande, questionando e facendo battute poco spiritose - così era caduto Crowley, non in maniera spettacolare, ma con un processo graduale, involontario e che quasi era passato inosservato. 

A Crowley non dispiace essere un demone, agire per l’inferno e tutte quelle cose lì. Crowley non rimpiange i bei tempi andati in cui le sue ali erano bianchissime e passava il suo tempo a suonare l’arpa su una nuvoletta - ad essere onesti il suono dell’arpa gli faceva venire mal di testa. Forse era destinato a diventare un demone fin dagli albori - ma questo non vuol dire che augurerebbe ad Aziraphale la stessa cosa. Lui è… troppo buono. Non resisterebbe nemmeno dieci minuti se cadesse. 

Perciò non c’è niente di strano se Crowley chiede ad Aziraphale di vedere le sue ali ogni volta che si separano e se continua ad esaminarle spasmodicamente alla ricerca di una infinitesimale macchiolina di sporco, di una lieve sfumatura di grigio, finanche ad una solitaria piuma nera dopo essere stato in sua compagnia. Passare del tempo con il demone deve essere sbagliato - va contro ogni ragionevolezza il fatto che sia giusto - e quindi Crowley lascia che la sua paranoia prenda il sopravvento ogni singola volta, perché non è logico che Aziraphale non abbia come minimo iniziato a cadere. Anche se a ben pensarci, se non è caduto quella notte del 1976 Crowley dubita che Aziraphale cadrà mai. Forse. In fondo hanno ancora un’Apocalisse da fermare. 


* * * 


La discoteca è rumorosa e affollata e buia come sono sempre state le discoteche fin dall’inizio dei tempi. 

Crowley è andato, talmente fatto da continuare a ballare anche se la musica è finita perché il DJ deve cambiare disco. O forse il ritmo che sente è solo in un frequenze non percepibili dall’orecchio umano. Solo che almeno altre tre persone stanno ballando nelle vicinanze, ognuna su una musica diversa. 

Qualcuno gli afferra il braccio e le pupille di Crowley si restringono a due lame sottili per mettere a fuoco. I suoi occhi gialli sembrano brillare ancora di più nel buio della discoteca quando riconosce Aziraphale nella figura davanti a lui. “Aaaangelo! Sssseiii quiiii!” Le sue parole sono strascicate e cantilenanti e si perderebbero nella canzone appena cominciata se Aziraphale non potesse comunque sentirlo a prescindere. 

L’angelo non sembra particolarmente sorpreso - né turbato - di trovarlo in quelle condizioni. “Crowley, volevo parlarti perchè-”

Ma al demone in quel momento non potrebbe importare meno di qualunque missione che andrebbe ad autobilanciarsi nel grande schema delle cose, perciò gli sventola una mano davanti alla faccia. 

“Non adescio, Afy - Azra - Azyf- Angelo! Adescio è tempo di divertirsssi!” Crowley biascica e gli ficca in mano il proprio bicchiere pieno di una miscela di vodka e un altro liquido che ha il sospettoso odore di una marca diversa di vodka. “Conscidera tutto fatto!” 

Aziraphale tentenna, guardandosi intorno. Sperava di poter recuperare Crowley e andarsene in un posto meno affollato, ma in fondo non sarebbe la prima volta che si lascia intossicare dal demone e poi il loro ben oliato meccanismo per bilanciare bene e male nell’equilibrio dell’universo è così perfetto che Aziraphale può perdersi un giorno di ferie. 

Così Aziraphale beve il cocktail e quando Crowley gli infila tra le labbra una pastiglia, facendola sbattere contro i suoi incisivi bianchissimi, l’angelo apre la bocca e la manda giù senza farsi troppe domande e lascia che agisca. Quando si rende contro che forse avrebbe dovuto controllare meglio cosa stava prendendo è troppo perso per preoccuparsene. 

Quindi non è ben chiaro come alla fine si ritrovi in un angolo su un divanetto, con Crowley spalmatogli addosso e la lingua biforcuta del demone in bocca. Aziraphale sapeva di star entrando in un luogo di depravazione, ma in un luogo tanto pubblico… 

Crowley gli si sfrega addosso e l’angelo può percepire attraverso la stoffa leggera dei pantaloni come il demone stia desiderando abbastanza intensamente di avere un sesso. E - strano a dirsi, ma non se ne era accorto fino a quel momento - anche lui stesso sta avendo lo stesso tipo di desiderio. 

“Crowley,” Aziraphale ansima anche se prendere fiato non gli servirebbe, “dovremmo… ti dispiace?” 

Il demone annuisce contro l’incavo del suo collo e li trasporta nel proprio appartamento, senza nemmeno una parola - non pensa che la voce possa reggergli e dopotutto non ha nemmeno bisogno di chiedere “cosa?” L’angelo è un libro aperto. 

È solo più tardi, molti più tardi, nel fresco delle lenzuola appena stropicciate, in un letto che ha usato per la prima volta quella sera, che lo coglie l’epifania. 

Aziraphale si è unito carnalmente a lui. 

Non che questa sia l’epifania, non era così andato da non rendersi conto di cosa stesse accadendo. 

Ma. 

Aziraphale - l’angelo retto e probo - si è unito carnalmente a lui, Crowley - demone dell’inferno. L’angelo ha desiderato e ha amato e ha reso parte di sé un demone. Non possono non esserci conseguenze in tutto questo. 

“Oh, per tutte le fiamme di Lucifero! Aziraphale! Perderai le ali!” 

Aziraphale ridacchia. “Beh, perdere è un termine un po’ forte, dopotutto le mie ali non sono certo una macchina che io possa dimenticare dove l’abbia parcheggiata - anche se effettivamente servono a portarmi in giro, quindi sono un mezzo di trasporto! E pure per svariate dimensioni! Ora che ci penso è un po’ che non visito la quinta, è la mia preferita…” 

“Az, stai divagando!” Crowley sente la necessità di sbattere la testa contro il muro fino ad uccidere il sacco di carne che lo contiene perché Aziraphale non è abbastanza in sé per capire. 

“Oh, sì, è vero. Ma non ho voglia di tornare sobrio! Altri cinque minuti Crowley!” 

Forse è un effetto della droga ancora in circolo, ma il demone sente la disperazione crescergli in petto - nel punto esatto dove si suppone che lui non debba provare nulla da migliaia di anni. 

“Angelo! Mostrami le ali!” 

“Cos’è, un tuo kink?” Aziraphale lo prende in giro e Crowley rabbrividisce, perché fino a quella sera l’angelo nemmeno sapeva cosa fosse un kink. L’idea che ormai le sua ali debbano essere irrimediabilmente ingrigite solidifica nel suo cervello: Aziraphale è sicuramente ad un passo dal cadere ed è tutta colpa sua. 

“Sì, diciamo sì, adesso tirale fuori!” Crowley gli ordina bruscamente. Non ha tempo di spiegare. Deve valutare quanto grave sia il danno. 

Aziraphale si sposta su un fianco e spiega le ali. Ali bianche, candide, lattescenti ed immacolate, con sfumature dorate quasi impercettibile nello spettro dei colori demoniaci. 

Non è possibile. 

Crowley non riesce a credere ai suoi occhi. Ci deve essere qualcosa che gli sta sfuggendo, una macchiolina subdola, nascosta nel folto del suo piumaggio, abbastanza in profondità da passare inosservata in modo che Aziraphale non se ne renda conto e la lasci proliferare - una piccola crepa  scura in grado di sgretolare la sua anima immortale. Il demone immagina per un secondo come sarebbe un demonico Aziraphale e inorridisce. 

Così Crowley esamina piuma per piuma, arruffando e lisciando la lieve peluria delle penne, alla ricerca del più piccolo segno che l’anima di Aziraphale non sia abbastanza degna del Paradiso. 

Non ne trova, ma non riesce a dirsi sollevato perché “Non ha senso. Non è logico che tu non abbia come minimo iniziato a cadere. Non. È. Logico.”

Aziraphale ritira la ali e si volta verso di lui, prendendogli il volto tra le mano e costringendo gli occhi dorati del demone a fissarsi sui suoi. “No, certo che non è logico, Crowley. Lo sai anche tu.”

Aziraphale sorride e Crowley riesce finalmente a calmarsi. 

“È ineffabile.”  


 

 

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Fandom: Good Omens
Ship: Aziraphale/Crowley (implied, pre-slash)
Rating: SAFE
Wordcount: 826
Prompt: La piuma arrivò risalendo il vento. (La piuma, Giorgio Faletti) 
Challenge: COW-T #9, missione 2

La piuma arrivò risalendo il vento della volontà dell’angelo, nera come la pece, quasi carbonizzata, con gli angoli rovinati, fino a posarsi sulla sua mano tesa. 

“Oh, dear!” Aziraphale gli riservò un’occhiata dispiaciuta. 

“Non dirmelo” Crowley scrollo le spalle e altre piume corvine caddero a terra dalle sue spalle. “Che tu sappia gli angeli non fanno la muta vero?” 

“Quelli sono i serpenti, Crowley, ma tu sei un insieme delle due cose quindi forse è un effetto collaterale della Caduta?” 

Osservando abbattuto una delle sue piume tra le dita, Crowley scosse la testa. “Non lo so, come effetti collaterali sono in ritardo di qualche millennio, no? Cioè mi sarei aspettato di perdere le piume, che so, due o trecento anni dopo la caduta, non duemila.”

Aziraphale avrebbe voluto essere di maggiore aiuto, ma non è che potesse davvero cercare in un “Manuale di manutenzione per ali angeliche” sotto al capito “come mantenere vitali le vostre ali dopo la Caduta”, o no? Mah, al giorno d’oggi scrivevano libri proprio su qualsiasi argomento, quindi forse quel libro esisteva?

Oh, Aziraphale, non era questo il punto. 

Il punto era che Crowley si stava spiumando come una dannata gallina. 

“Hai provato a chiedere a… ai tuoi colleghi?”

Crowley sbuffò. “I miei colleghi, come li chiami tu, non sono molto in vena di scambiare chiacchiere con me dopo il mancato Apocalisse, tu che credi? È già tanto che mi abbiano concesso di rimanere qui sulla terra invece che sbattermi nel più infimo dei gironi a compilare scartoffie.”

Aziraphale avrebbe dovuto stare zitto, perché davvero a caval donato non si guarda in bocca, ma a volte il filtro cervello - bocca gli sfuggiva un po’ di mano. “A proposito com’è che non ti hanno declassato?”

“Che ne so. Hastur ha detto ‘ordini superiori’ prima di minacciare di uccidere il mio tramite e buona fortuna a compilare la richiesta per averne un altro, che tutto l’Inferno avrebbe fatto in modo di far passare almeno almeno quattrocento anni prima di approvarla dopo lo scherzetto che gli ho fatto.”

“Ma non possono!” 

“È l’Inferno, Az, è nato perché c’era qualcuno che aveva detto loro ‘questo non si può fare’ e loro l’hanno fatto lo stesso.” Crowley alzò gli occhi al ciel- no, quello non lo poteva più fare da parecchio tempo e allora perché improvvisamente ora c’era riuscito? 

“Ma che diamin- ?”

“Crowley?” 

Ma la parola non sembrava voler uscire dalla sua bocca. La lingua gli bruciava, stranamente incollata al palato. 

“Che mi sta succedendo?” C’era una nota di panico nella sua voce, una cosa che Aziraphale aveva sentito solo una volta nella sua vita e quella volta il mondo stava per finire. “Az?”

L’angelo lo guarda perdere qualche altra piuma come se fossero coriandoli. 

“Non lo so. Crowley non lo so.” 

Aziraphale avrebbe voluto poter dire qualcosa, poter fare qualcosa. Ma non poteva fare nient’altro che offrirgli il suo divano per dormire quella notte - anche se Crowley aveva un appartamento perfettamente funzionante - e tenergli la mano nella speranza che quel demone dagli occhi gialli non si dissolva nel nulla sotto i suoi occhi. 

Aziraphale non si rese conto di essersi addormentato fino al proprio risveglio la mattina dopo, il viso affondato nella giacca del completo di Crowley. Era strano, per dormire Aziraphale avrebbe dovuto volerlo fare e invece le palpebre gli si erano chiuse quasi da sole. 

“Ma che -?”

Crowley socchiuse le palpebre lentamente, solo per vedere il viso sbalordito dell’angelo a pochi centimetri dalla sua faccia.

“Az?”

“Le tue ali… Crowley! I tuoi occhi!” 

Con uno sbadiglio soddisfatto, uno di quelli che gli ricordava la bellissima dormita durata tutta il quattordicesimo secolo, Crowley tornò un po’ più presente a sé stesso.

“Che hanno le mie ali e i miei occhi?” Chiese tranquillamente, perché se non era svanito nel nulla cosmico che aspettava angeli e demoni alla fine delle loro esistenze, allora andava tutto bene. 

Ma Aziraphale sembrava senza parole. 

“Az?”

L’angelo si chinò su di lui, strappandogli una piuma e portandogliela davanti al viso. Bianca. Candida. Eburnea. 

Non poteva essere sua. 

Le sue ali non erano di quel colore da…  

“Che diamin- oddio non riesco a dirlo. Oddio, ho detto oddio!” Si coprì la bocca confuso. Che altro poteva essere cambiato? Con un guizzo fece passare la lingua biforcut -

“La mia lingua!”

“E I tuoi occhi” ripetè Aziraphale. “Non sono più gialli.”

Crowley si tolse di dosso l’angelo quasi senza pensarci, correndo allo specchio per veder ricambiare il suo sguardo da un paio di occhi chiarissimi, quasi cristallini. 

L’angelo lo seguì dopo qualche istante e Crowley si voltò a guardarlo come se quello potesse avere le risposte. 

“Sei… risalito?” Aziraphale sembrava sconvolto tanto quanto lui, la piuma bianca ancora tra le dita. 

“Io -”

Le braccia di Aziraphale si chiusero attorno alle sue spalle, la sua testa nell’incavo del suo collo. “Va tutto bene. Ci sono io.” 

Affondando il naso nei suoi ricci biondi, Crowley pensò che forse bastava. 


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