Mar. 8th, 2019

danzanelfuoco: (Default)
 Fandom: Originale

Rating: NSFW

Wordcount: 2056

Prompt: Arrivare troppo tardi

Challenge: COW-T #9, missione 2

 

Era iniziato tutto perché voleva una spada. Una dannata spada. 

E lei era lì, bella e innocente, con la fronte imperlata di sudore che usciva dalla fucina dove suo padre lavorava. Un fiore da cogliere in mezzo a tutto quell’acciaio. 

Quanto era stato sciocco. 


* * * 


Era già stato alla bottega e al banco, ma lei non era nemmeno lì. Non ci poteva essere.  

Non era la prima volta che correva per le strade acciottolate di Toledo, ma non lo aveva mai fatto con tanto terrore e tanta frenesia in corpo, schivando le pozze di liquami ed evitando a malapena di finire calpestato dagli zoccoli di un cavallo imbizzarrito, troppo concentrato su di lei per riuscire per accorgersene se non all'ultimo minuto. Quel giorno avrebbe potuto investirlo un tiro a quattro e lui non se ne sarebbe accorto. 

Quel giorno era tornato per restare e sistemare l’errore madornale che aveva fatto. Sua moglie, Doña Isabel, la nobile dama che aveva sposato - un nome scambiato per un ì patrimonio ingente - lo aveva convito ad allontanarsi dalla città. Quando l’aveva presa in moglie, lei dall’alto del suo titolo nobiliare lo aveva guardato dall’alto in basso e aveva decretato che in quella casa sarebbe stata lei a portare i pantaloni. A lui, troppo impegnato con le sue navi mercantili a miglia di distanza dalla terra ferma dove risiedeva, non era importato più di tanto e l’aveva lasciata fare. L’aveva sottovalutata. 

Ma a Isabel il fatto che il marito passasse così tanto tempo con la figlia del fabbro, un’ebrea per giunta, non poteva andare giù, specie quando poi le malelingue di tutta Toledo le montavano un palco di corna più grandi di quelle del re Cervo. E quando poi Jessica aveva deciso di convertirsi al cristianesimo, lei aveva colto l’occasione per colpire. 

La delazione anonima che lei aveva scritto, lui l’avrebbe potuta fermare, contestare. Se solo fosse rimasto a Toledo.

Ma Isabel gli aveva messo la pulce nell’orecchio. Era stata brava a fargli sospettare che forse il suo crimine Jessica l’avesse commesso, che se lei non fosse stata colpevole loro l'avrebbero rilasciata e lui aveva davvero voluto crederci. 

Si era costretto a crederci, quando aveva visto le guardie circondarla e lui aveva fatto un passo indietro, fuggendo senza neanche provare a salvarla. 

Isabel l’aveva convinto ad allontanarsi dalla città fintanto che il processo non fosse finito, perché non sarebbe stato un bene - per la sua famiglia e per i suoi affari - compromettersi nelle disquisizioni teologiche di una dannatissima ebrea. E lui da codardo qual era si era lasciato convincere. 

Era ormai a mezza strada verso Valencia quando aveva fatto voltare i cavalli, minacciando di lasciare la moglie a piedi in mezzo al nulla alla mercé dei briganti se non avesse taciuto e non fosse rimasta nel ruolo di donna che le si addiceva. 

E ora eccolo lì, a correre come un forsennato, continuando ad ingannarsi che sarebbe arrivato in tempo, ben sapendo che non l’avrebbero mai lasciata andare perché non c’era nessuna giustizia in quello che facevano quei maledetti inquisitori. 

Ma se fosse riuscito a testimoniare, si era convinto, avrebbe potuto dire loro che lei e la sua famiglia non erano mai stati di quei marranos che si vedevano in giro, quegli ebrei che fingevano di convertirsi, ricevevano il battesimo e poi il sabato chiudevano la bottega e li si poteva vedere in sinagoga a pregare. Lei sapeva quello che stava rischiando a convertirsi, avere gli occhi dell'Inquisizione addosso non era piacevole, ma l’aveva fatto lo stesso e adesso gli stava venendo l'atroce dubbio che forse l’avesse fatto per lui. Perché ne sarebbe stata capace, sciocca ragazza, nascondendosi dietro il pretesto di affari più vantaggiosi.

Ma nei tre giorni che erano trascorsi da quando Jessica era stata arrestata poteva essere successo di tutto. 

L’avevano torturata, non voleva nemmeno pensare a cosa l’avessero sottoposta. Si meritava lui quel patimento, si era detto, costringendosi a ricordare lo sguardo di delusione che le aveva attraversato gli occhi nel momento in cui l’aveva visto allontanarsi senza una parola – perché, codardo, si era voltato a guardarla e lei non aveva nemmeno provando a liberarsi dalla presa delle guardie, troppo impegnata a non credere ai propri occhi nel vederlo andare via. 

Quella delusione, quel tradimento, si era amplificato nella sua mente, magnificato da 

ogni scudisciata, da ogni ustione, da ogni taglio e ferita, da ogni urlo che aveva dovuto emettere per causa sua, mentre le strappavano le unghie e le slogavano le spalle.

Come aveva potuto permetterlo? Come aveva potuto lasciarsi abbindolare dalle parole di Padre Cristobal, da quel "hai fatto il tuo dovere di bravo cristiano” sussurrato nel buio del confessionale, come se lasciar morire un innocente non fosse un peccato dal quale essere assolto. 

“Lei era un demonio.”

Era. Come se fosse già morta. 

Quel piccolo verbo gli aveva ronzato nel cervello come un tarlo, rosicchiandogli l’anima. 

“La bruceranno in piazza” gli aveva detto una guardia e lui era scappato via ancora prima che quella potesse dirgli quale, illudendosi che se fosse arrivato in tempo avrebbero sospeso l’esecuzione dell’eretica. 

Aveva sentito le grida a strade di distanza. La folla stava aspettando e lui poteva sentir crescere la sete di sangue della masnada lì riunita, insieme al volume delle loro urla mano a mano che si avvicinava. 

Quando aveva raggiunto la piazza, il suo cuore aveva perso un battito. 

Aveva cercato di raggiungere il palco, vuoto se non si considerava la pira pronta per essere accesa, facendosi largo tra la folla, guadagnando ogni metro a forza di spintoni. Doveva raggiungere il carretto, quello che avevano usato per trasportarla dalla prigione, quello dove era ancora imprigionata. Doveva liberarla, doveva dire loro che avevano sbagliato, che... che... Se solo fosse riuscito a raggiungerla avrebbe saputo cosa dire, ma per quanto andasse avanti c'era sempre qualcun altro che l’ostacolava, che gli impediva di proseguire. Sembrava l'incubo più brutto inventato nella storia dell'umanità. 

Ma ovviamente non era un incubo, se n’era accorto quando finalmente era riuscito a intrufolarsi tra quello che doveva essere un macellaio, a giudicare dal grembiule macchiato di sangue, e una donnona che non sapeva cosa facesse, ma non gli interessava neppure, non sapeva neanche perché si stesse prendendo il disturbo di notarli. Erano così anonimi rispetto a lei ora che lo stava guardando. 

Era sporca, era lacera, era ferita. E stava per morire. 

Dio, quanto si odiava in quel momento. 

La folla aveva inneggiato in un sadico piacere perverso quando la gabbia si era aperta e lui aveva trattenuto il fiato. L’avevano trascinata fuori come un animale, ma d'altronde era così che l’avevano trattata finora. Sul suo viso l’espressione era impassibile, mentre veniva trascinata verso la pira e le persone tra le prime file si erano divertite a lanciargli addosso tutto il loro disprezzo sotto forma di verdure marce. 

Doveva parlare con lei, doveva farle sapere che adesso era lì per lei, che non era da sola. Aveva afferrato il sudicio tessuto della camicia e lo aveva strattonato, cercando di attirare la sua attenzione.

Era riuscita a trattenerla a sufficienza da costringerla a guardarlo.

I suoi occhi si erano spalancati per una frazione di secondo quando l’aveva riconosciuto, prima di sottrarre il braccio dalla sua presa con uno scatto. Il dolore nei suoi occhi, la delusione, lo aveva colpisce come uno schiaffo a mano aperta. Non meritava il suo perdono per averla abbandonata. 

L’aveva seguita verso la pira, lottando per ogni centimetro di spazio per avvicinarsi a lei, ma la folla lo aveva ostacolato, spingendolo indietro, contrastando ogni suo sforzo per avanzare e quando finalmente era riuscito a risalire fino allo spazio davanti al palco l’avevano già legata al palo. 

La stavano uccidendo ed era solo colpa sua. 

Non poteva permetterglielo, doveva fare qualcosa. 

La stessa angosciante disperazione che lo aveva spinto ad afferrargli la manica si era impossessa di lui.  

Avrebbe dovuto sfondare il cordone di guardie, arrampicarsi sul palco, scalare la pira, sciogliere le corde e sperare che la popolazione li linciasse mentre tentavano di scappare. Se avesse avuto le forze di pensare avrebbe sorriso di sé stesso perché sapeva perfettamente che non ce l’avrebbe mai fatta, ma non aveva il coraggio di considerare cosa sarebbe potuto andare storto. 

Si era gettato come un ariete contro le guardie e probabilmente era la sua solita fortuna, ma non si erano aspettate che qualcuno provasse davvero a creare disordini. Le prendi alla sprovvista e ti getti sul palco. Lo zoccolo di legno che separava la pira dalla massa di popolani assetati di sangue – del suo sangue, come possono davvero volerlo? - era alto almeno quanto lui e anche se avesse potuto arrampicarsi, le guardie sarebbero state su di lui, prima che potesse raggiungere il primo appiglio con cui cominciare a issarsi. 

Lo avevano trascinato a terra, un pugno nello stomaco, un calcio alla schiena e poteva dirsi fortunato che non l’avessero ancora provato ad infilzare con la picca. 

"Vattene e non riprovarci." 

Un armigero lo aveva tirato su di peso solo per scaraventarlo tra la folla inclemente. Come possono odiarla tanto? 

Si era rialzato, non era la tua prima rissa e aveva troppo da perdere per fuggire con la coda tra le gambe, non di nuovo. 

Questa volta erano le persone che gli avevano impedito di riprovarci. Prima ancora che potesse tentare di andarsene qualcuno gli aveva afferrato  il retro della camicia e aveva tirato. Aveva Perso l'equilibrio ed era scivolato su una melma verde marcescente che una volta poteva essere stato un cavolo. Era caduto a terra e aveva sentito il sonoro crack di un osso che si rompeva, prima che un fiotto di sangue caldo cominciasse a sprizzargli dal naso. Aveva Avvertito il suo sapore metallico in bocca, quando l’aveva aperta per respirare. Aveva cercato di puntellarsi sul terreno per alzarsi, ma le persone attorno a lui non avevano fatto altro che calciarlo e, oh, diamine, la mano. Qualcuno lo aveva pestato e la sua mano destra era ridotta un ammasso pulsante e sanguinolento di carne e ossa. 

Il dolore era lancinante, abbastanza da farlo gridare, ma il rumore della folla era troppo forte e l'unica cosa che era riuscito a pensare era che con la mano in quelle condizioni non sarebbe mai riuscito a sciogliere le corde. Aveva rimpianto di non essersi portato dietro un pugnale, un coltello, una qualunque lama che avrebbe potuto liberarla, ma che ora si trovavano ben chiusi nei bauli di sua moglie a casa, dove l’aveva lasciata per tornare da lei. 

Ma anche se avesse avuto una daga non avrebbe potuto arrivare fino a lei con la mano in quelle condizioni. 

Era inutile, non poteva fare assolutamente nulla per salvarla. Aveva sentito gli occhi bruciare, ma non era quello il momento per lasciarsi andare, doveva alzarti. 

Era riuscito a tirarsi almeno in ginocchio prima di alzare lo sguardo su di lei di nuovo. 

Lo stava guardando, non aveva mai staccato gli occhi da lui da quando aveva provato a raggiungerlo la prima volta. Il fuoco aveva cominciato a divorare la legna più esterna della pira e il fumo si alzava verso il cielo, eppure lei stava ancora guardando lui tra tutti. Non avevano nemmeno avuto la decenza di strangolarla prima ed evitargli tutto quel dolore. 

Aveva Annaspato nel tentativo di alzarsi, il fuoco la stava velocemente raggiungendo e l'aria era satura dell'odore di carne cotta. Un conato di vomito gli era risalito in gola quando aveva capito che era il suo odore quello nell'aria, sua la pelle che brucia. 

Doveva salvarla,  doveva fare qualcosa per lei. Poi lo aveva visto. 

Un singolo cenno.

Aveva scosso la testa in un "no" silenzioso, i denti affondati nelle labbra per impedirsi di urlare e lui aveva compreso che aveva smesso di combattere quando l’aveva visto fuggire. Era arrivato troppo tardi. Avrebbe voluto chiederle scusa, avrebbe voluto pentirsi. Invece aveva smesso di combattere anche lui. 

Si era lasciato cadere a terra, mentre almeno cinque persone avevano cercato di prendere il posto che occupava per avere una visuale migliore, senza curarsi di ciò che stavano calpestando. 

Era allora che erano iniziate le sue urla. Avrebbe voluto poter prendere il suo posto.

Invece aveva sentito solo le sue grida e il suo corpo era solo una silhouette nera nelle fiamme scarlatte quando la sua vista si era appannata sull'ultima cosa che avrebbe visto in questa vita.  


Andare

Mar. 8th, 2019 01:39 pm
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 Fandom: Originale
Rating: NSFW
Wordcount: 724 parole
Prompt: partire per un lungo viaggio
Challenge: COW-T #9, missione 2

Ci sono momenti in cui il peso sul tuo petto ti schiaccia così tanto che non riesci a respirare. 

Sono giorni in cui trattenere le lacrime è così difficile che vorresti fosse tutto finito. Giorni in cui il desiderio di non essere è così prepotente che ti chiedi come sarebbe semplicemente addormentarsi e non svegliarsi più. 

Non sarebbe molto più comodo poter premere un interruttore e spegnere il proprio cervello?

Sarebbe una liberazione.

Ti senti stupida a volte, perché in fondo cosa c’è nella tua vita di così brutto da non volerla vivere completamente? 

È solo che è così faticoso, così drenante e svuotante, alzarsi in piedi tutte le mattine e preoccuparsi. Preoccuparsi di stupidaggini, preoccuparsi del pranzo e delle pagine che mancano da studiare e del cane e dei vetri che sono da pulire e del pavimento che è da spazzare ed è troppo. È talmente troppo che si rende conto che non è niente. 

Spazzare un pavimento non è difficile, non è neanche faticoso, pulire i vetri dovrebbe essere giusto il tempo di una mattinata, ma tutto questo ti sembra un impresa titanica e perché poi? A cosa serve? Se il cane porterà in casa lo sporco e la pioggia sporcherà i vetri?

Perché è tutto inutile e vano e futile e quelli sono i giorni in cui ti chiedi quale sia il senso di stare al mondo. 

E c’è questa sensazione di stanchezza, infinita, come se ti stessi muovendo sott’acqua e tutto è rallentato e persino l’attrito dell’aria ti impedisce i movimenti. 

Se la notte riuscissi a dormire forse staresti bene, ma sono due settimane che non dormi più di cinque ore per notte e dio, il desiderio di ingollare l’intera boccetta di benzodiazepine nell’armadietto del bagno è sempre in un angolo del tuo cervello, così dannatamene tentatore, subdolo e terrificante. 

Ti sente come in un cartone animato, con un demone sulla spalla sinistra che ti sibila in un orecchio quanto sarebbe facile e indolore e liberatorio, e un angioletto sulla destra, il tuo istinto di conservazione, che urla al solo pensiero, un grido disperato che ti riscuote da quelle idee malsane. 

Ma quelle idee rimangono lì, sempre pronte a rispuntare fuori al minimo segno di debolezza, sempre invitanti nell’offrirle la scappatoia, l’esci gratis di prigione, talmente semplici che ci deve essere una fregatura. Certo che c’è la fregatura, ti urla l’angioletto. 

E se non fossi pronta a dire addio a tutto? 

E se ci fosse qualcosa per cui valga la pena e tu non lo scoprissi mai perché hai preso la scorciatoia troppo presto? 

E se te ne penti?

Da morta non puoi pentirti di nulla, ma prendere quella decisione è così dannatamente difficile 

- procrastini, così che la possibilità è sempre lì anche se decidi di non coglierla adesso - che ti chiedi se dentro il tuo corpo non esistano due personalità separate. 

TI ci manca solo un disturbo di personalità e poi puoi diagnosticarti l’interno DM5. Come con i pacchetti di figurine alle elementari - ansia, depressione, ocd, schizofrenia, ce l’ho, ce l’ho, ce l’ho, mi manca. 

E nel frattempo respirare è così difficile che vorresti smettere di farlo. 


* * * 


C’è un che di catartico nel preparare le valigie. C’è sempre stato. 

Ti eri dimenticata di quanta libertà ci fosse nel chiudere una zip su tutti i tuoi problemi e dimenticare di averli. 

D’accordo, forse è una scelta vigliacca - più vigliacca che ucciderti, perché per quello non hai il coraggio - ma è l’unica che sei riuscita a prendere. 

Le rotelle del trolley inciampano in un sasso, ma stranamente, mentre ti allontani dalla casa - il gas lo hai controllato, le imposte sono chiuse, il cane dai tuoi genitori, l’aspettativa l’hai presa per un anno e forse nemmeno sai se tornerai. 

Non sai nemmeno esattamente dove stai andando. Hai comprato il biglietto per la grande città più vicina al tuo piccolo paesino dimenticato da Dio e mentre ti dirigi in stazione, ti sembra quasi che il peso del mondo non gravi più sulle tue spalle. 

Sì, forse tornerai e sarà tutto uguale a prima perché il problema è tutto nella tua testa e da sé stessi non si può scappare. Però ci puoi provare. 

 

E poi in fondo devi ammettere che è la prima volta che sotto quel treno non provi il desiderio di buttartici. 

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 Fandom: Blue Exorcist
Ship: None
Rating: SAFE
Wordcount: 603
Prompt: Arrivare troppo tardi
Challenge: COW-T #9, missione 2

Sai che c’è qualcosa che non va fin dal momento in cui nessuno risponde al telefono. 

Rimani a fissare la parete bianca che non hai ancora pensato di decorare con appunti e post-it mentre nelle orecchie ti risuona il tu tu tu della linea vuota dall’altro capo. 

Ti chiedi se sia il caso di tornare indietro, ma il monastero è ben protetto e tuo padre è il miglior esorcista della città, non avrebbe di certo bisogno del tuo aiuto per proteggervi da qualsiasi cosa vi stia attaccando. 

Ricollochi la cornetta, interrompendo la chiamata, dal momento che ti pare evidente che nessuno risponderà. 

E poi non è nemmeno detto che ci sia effettivamente qualche problema, no? 

Magari sono solo andati tutti fuori. 

 Anche se Rin è in punizione e quindi dovrebbe essere per forza in casa? 

Ma Rin non ascolta mai. Sicuramente sarà uscito lo stesso. 

 Anche se deve esserci sempre qualcuno a guardia del monastero? 

Magari stanno passando l’aspirapolvere.

Gli scatoloni aspettano ancora di essere sballati e tu dovresti proprio concentrarti sul sistemare i libri che ti serviranno a breve, perciò scossi la testa cercando di convincerti che ci siano un migliaio di spiegazioni plausibili al fatto che nessuno risponda a una telefonata che si sarebbero dovuti aspettare di ricevere. 

Però.

Però il tuo sesto senso ti dice che c’è qualcosa che non va e sai benissimo che ignorare l’istinto, ignorare quel brivido freddo che ti corre lungo la schiena, è il modo migliore per finire in una cassa da morto. 

Perciò apri in fretta gli scatoloni, strappando con furia lo scotch che li tiene insieme - non starai esagerando?, ti chiedi. In fondo non hai nemmeno provato a richiamarli, magari non hanno sentito il telefono squillare - e frugandovi dentro, svuotando sulla scrivania tutte quelle che adesso sono cianfrusaglie inutili. 

Ti infili l’acqua santa in tasca - averne in più non può fare male a nessuno - e sei fuori dalla porta di pochi istanti. 

Il cartellone alla pensilina dell’autobus ti informa che l’autobus arriverà tra sei minuti. Un sacco di cose possono accadere in sei minuti. 

Ponderi se sia il caso di aspettarlo o di correre, ma sai benissimo che ci metteresti comunque più tempo. 

La razionalità non ti impedisce di dondolarti da un piede all’altro per sei interminabili minuti e di scattare sull’autobus non appena le porte di plexiglass si aprono per farti salire. 

Stringi convulsamente tra le dita la boccetta di vetro, il viaggio è interminabile. 

Sembrerai un idiota se ti precipitassi lì solo per trovarteli tutti davanti pacificamente intenti a riordinare. 

Ma per un motivo che non ti è totalmente chiaro a livello conscio non credi davvero che sia questo il caso. Forse hai solo fatto caso ad un aumento dell’assembramento dei demoni, forse è solo il fatto di non poter avere tutto sotto controllo che ti fa sentire di nuovo come se avessi sette anni e paura di tutto. Essere lontani da casa può fare questo effetto, l’hai letto su un libro. 

Ti rendi conto che il tuo sesto senso era perfettamente calibrato nel momento in cui vedi la distruzione nel giardino. 

I cancelli sono divelti, le porte sfondate, frammenti di legno che pendono dai cardini e dentro la devastazione. 

Rin si appoggia ad una spada. 

La spada. 

E vostro padre è a terra morto. 

Lo sapevi. E sei arrivato tardi. Troppo tardi. 

Se solo non avessi perso tempo a convincerti di essere paranoico forse saresti arrivato in tempo per salvarlo. Ma sai che ti stai prendendo in giro. Sai perfettamente che neppure tu saresti riuscito a contrastare Satana. 

Perciò taci. 

E lasci che Rin pensi quello vuole. 

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