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[personal profile] danzanelfuoco
Fandom: Originale

Rating: Safe

Challenge: COW-T, w5, m2

Prompt: Argentina

Wordcount: 3117 parole


Note: L’accuratezza storica di questo racconto è molto discutibile e spero che non si offenda nessuno dei due gatti che eventualmente lo leggeranno. 

Il fatto che invece gli addestratori facessero nonnismo alle reclute facendogli prendere in mano i cardi con le spine è vero (o per lo meno, così mi ha raccontato mio padre che ha fatto la leva lì in quegli anni). 



‘Tiago i fichi d’india li aveva sempre amati prima. 

Dolci e succosi, crescevano spontaneamente dietro casa sua, quel rudere giallo sperduto nella pampa a nord di Buenos Aires, nel triangolo di verde compreso tra la capitale, Rosario e Santa Fè. 

Li aveva sbucciati mentre sua madre canticchiava “Por el río Paraná venía navegando un piojo, con un hachazo en el ojo y una flor en el ojal,” facendo caramellare il latte in dulce de leche, e gli scacciava le mani con il mestolo, perché era troppo caldo e non ancora pronto. 

Li aveva sbucciati seduto accanto a sua sorella Maria che impastava la farina e la maizena e stendeva tanti piccoli dischetti di pasta frolla da cuocere nel vecchio forno. 

Li aveva sbucciati mentre suo padre dava le carte per il truco, passandosi la calabaza del mate con l’amico Miguel, sfidandosi a vicenda a bere dalla cannuccia metallica bollente senza emettere un suono, con suo nonno che masticava imprecazioni incomprensibili in Quechua quando perdeva e poi sbatteva l’asso di spade sul tavolo andandosene, mentre sue nonna rideva e lo canzonava in un  italiano ricco di accento, nessuno dei due capendo esattamente cosa dicesse l’altro se non nel senso - ma un senso in comune lo avevano trovato se poi alla fine si erano sposati e avevano fatto Gabriela, sua madre. 

Li aveva sbucciati e, sbucciandoli, li aveva associati per sempre alla famiglia, al focolare, alla casa felice e serena che lo aspettava dopo aver percorso a piedi i pochi chilometri che lo separavano da Victoria, la cittadina di Entre Rios dove lui e Juan, il suo migliore amico, il figlio di Miguel, potevano andare a scuola, o almeno fingere di farlo. 

‘Tiago i fichi d’India li aveva sempre amati per traslitterazione di sentimenti. 

Ma questo era prima. 

Questo era prima di ritrovarsi con i palmi delle mani al cielo e Juan chinato su di lui con un paio di pinzette a cercare di togliergli le spine ancorate in profondità nella carne, mentre malediva l’esistenza stessa dei fichi d’india, dei cardi e del sergente Rinaldi, quel figlio di puttana. 

‘Tiago aveva soffocato un’imprecazione tra i denti, quando l’ennesimo aculeo era stato estratto, lasciando al suo posto un punto rosso sanguinante. 

“Smettila di lamentarti! Se avessi fatto subito come ti diceva Rinaldi adesso non saremmo qui.” 

“Quell’uomo è un sadico-oh! OH! Fai piano, imbecille! Fa male!”

Juan aveva sbuffato, strappando un altro aculeo e la pelle di ‘Tiago si era tirata dolorosamente prima di lasciarlo uscire insieme a uno schizzo di sangue. “Lo fa per noi.”

“Non dire puttanate! Spiegami in che cazzo di modo sarebbe utile avere i soldati che non possono marciare per le vesciche ai piedi o che non riescono a tenere in mano un fucile perché si sono piantati da soli sta merda nelle mani.” 

Juan lo aveva guardato con occhi di ghiaccio, azzurri e duri, pieni di convinzione, la stessa convinzione che - ‘Tiago ne era sicuro - lo avrebbe portato ad una bella medaglia d’onore riposta con cura in una scatolina di velluto consegnata a Miguel insieme alle sue spoglie, sotto una bandiera albiceleste. Una fanfara funeraria, ecco a cosa lo avrebbe portato tutta quella voglia di eroismo. 

Come se dirglielo servisse a farglielo capire. 

“Spiegami quanto pensi di restare in vita tu, se alla prima spina che prenderai strisciando tra i rovi ti dovessi mettere a strillare come una ragazzina davanti a un ragno, rivelando la posizione ai nemici,” Juan gli aveva sbattuto le pinzette in fronte, come se stesse cercando di capire dal rumore se la sua testa fosse vuota o meno, ma dalle sue parole mancava il consueto scherno. “Il punto è che devi imparare a tenere in mano il fucile nonostante tu abbia spine di fichi d’india che ti escono dal culo.”

‘Tiago aveva fatto una smorfia, scacciando le pinzette con la mano come avrebbe fatto con una mosca. 

“È nonnismo, puro e semplice.”  

“Lo fa per noi,” aveva ribadito l’amico e per una volta Santiago aveva evitato di prenderlo per il culo dandogli del maricòn de mierda e insinuando che lo difendesse solo perché a Rinaldi gli sbavava dietro, uno dei tanti motti che facevano parte del loro crudo cameratismo. 

Come se ‘Tiago non avesse visto Juan morire dietro a Isabela per un intero anno prima di partire per l’addestramento. 

Però era troppo divertente far arrabbiare l’amico e farlo diventare rosso, quando in fondo c’erano le basi per farlo. Perché del sergente Rinaldi tutto si poteva dire, ma non che non fosse bello, Santiago poteva ammetterlo candidamente.

Rinaldi era esattamente tanto bello quanto era stronzo, biondo e con gli occhi azzurri - tanto che per anni molti l’avevano chiamato il Polacco -, dai lineamenti delicati come quelli di una donna e lunghe ciglia che lo facevano sembrare di un’innocenza virginale - se solo ‘Tiago non fosse stato dall’altro lato della sua rabbia -, superbo dall’alto dei suoi poco meno che venticinque, figlio di papà con carriera nell’esercito già spianata di fronte a lui. E poi, come se non bastasse la raccomandazione del padre a dargli la spinta a scalare i gradi, Ignacio Rinaldi era riuscito a farsi sparare ad una gamba nel ’78, durante l’Operación Soberanía. 

‘Tiago insisteva che sicuramente si era sparato da solo per fare scena perché, punto uno, non era morto - ahi ahi, ¡que mala suerte la mia!- e perché, punto secondo, in quell’aborto di invasione non c’era stato conflitto e questo lo dicevano persino le fonti che insistevano che l’esercito Argentino  fosse effettivamente sbarcato e avesse passato il confine con il Cile - informazione piuttosto di parte e patriottica e, molto probabilmente, falsa. 

Sì, quella pallottola nel polpaccio - probabilmente l’unica volata in tutta la serata del 22 dicembre 1978 -  gli era valsa la promozione da Caporale a Sergente. Come se non avessero perso pure quella di guerra. 

“Non l’abbiamo persa,” aveva rincarato Juan quando ne avevano parlato e ‘Tiago aveva alzato gli occhi al cielo. 

“Ah, già scusa. Abbiamo negoziato. E con cosa siamo rimasti?” 

Juan si era rifiutato di rispondere, ma ‘Tiago aveva dovuto rigirare il coltello nella piaga. 

“Picton, Nueva e Lennox non erano nostre prima e, guarda un po’, non sono nostre nemmeno adesso.” 

“Sì, ma possiamo attraversare lo stretto di Beagle, ora.” 

“E come noi, qualsiasi altra nazione.”

Ora.”
“Già, per la grande gloria del popolo Argentino nel mondo. Ci ringrazieranno tutti,” aveva fatto schioccare le labbra ‘Tiago. “E vedrai se non rimarremo con un pugno di mosche anche questa volta. Toccherà di nuovo al papa intervenire.” 

“Quanto sei negativo.”

“Si chiama realismo.” 

“E allora, signor realismo, che dovremmo fare secondo te, eh? Niente addestramento, sciogliamo l’esercito?”
“Non ho detto questo. Ma potremmo, per esempio, che so… iniziare non invadendo isole che stanno benissimo da sole?!” 

“Dio, ‘Tiago, vuoi una bandiera inglese da appuntarti al petto?” 

“Ma sono inglesi, porca puttana! Si sento inglesi, parlano inglese e…” 

“E sono su territorio argentino,” lo aveva interrotto Juan e Santiago aveva capito che era inutile tentare di farlo ragionare. “Dov’è il tuo orgoglio patriottico?” 

“Appena dietro il mio istinto di sopravvivenza, grazie tante.” 

“Sei impossibile, ‘Tiago.” 

“Sarà il nome, che mi inquina l’amore per la patria, dannati Cileni e la loro capitale” aveva ridacchiato Santiago, ma Juan non lo aveva trovato affatto divertente. 

“Non fare il coglione.”

Ma il coglione aveva continuato a farlo, antagonizzando il sergente Rinaldi più di quanto non fosse consigliabile e Rinaldi per tutta risposta aveva continuato a sorridere con quelle labbra pallide e sottili stirate in un ghigno. 

“Devi prenderli in mano quei cardi, Ortega, voglio vedere il sangue alla fine della giornata.” 

E Santiago aveva preso in mano i cardi e i fichi d’india e i rovi, fino a che i suoi palmi non ne erano usciti costellate di infinite stille di sangue che erano diventate croste e cicatrici e che poi erano sbiadite, mentre Juan perdeva la vista nel cercare di estrarre quegli aculei, le dita doloranti - che di quelle cicatrici ne aveva anche lui, anche se molte meno - strette attorno alle pinzette metalliche da ospedale da campo.

“Devi smetterla,” aveva sussurrato Juan e ‘Tiago aveva annuito, mentendo sapendo di mentire, che fare il coglione era la sua unica rivincita per essere stato portato in una guerra che non voleva combattere. 


* * *

Erano riusciti a tornare a casa, alla fine, dopo pochi mesi di guerra - troppo pochi in confronto a tutti quelli di addestramento che avevano dovuto sopportare, ma sempre abbastanza da bastargli per una vita intera - forse grazie alle catene di rosari che sua nonna Piera e sua madre Gabriela recitavano ogni domenica a messa, forse solo perché il loro momento non era ancora arrivato.

Ma erano tornati a casa. 

Erano di nuovo in mezzo alla pampa, alla pianura verde così vicina al fiume Paranà (lungo il quale veniva navigando un pidocchio con un accetta nell’occhio e un fiore all’occhiello) e alla casa gialla che sembrava tanto più grande ai loro occhi di ragazzi che del mondo non avevano visto che una briciola. 

Erano tornati a casa e sua madre aveva abbracciato entrambi e suo padre gli aveva dato delle pacche sulle spalle e Miguel era lì perché in fondo lo sapeva che il figlio avrebbe seguito ‘Tiago a casa prima di riprendere il cammino verso la propria e allora tanto valeva saltare un passaggio - e poco importava che ormai anche per Miguel e Juan la casa gialla in mezzo alla pampa fosse più hogar dei quattro muri vuoti più avanti lungo la strada. 

Nonna Piera aveva pianto e Maria aveva gettato le braccia al collo di entrambi e Santiago aveva sorriso alla sua famiglia, abbracciando anche Juan 


* * * 


Avevano approfittato del cielo terso e dell’assenza del beccheggiare della nave sotto i loro piedi e del fucile tra le loro dita per sedere attorno al focolare e sentirsi raccontare dal nonno di quella volta che insieme ad altri gauchos avevano bevuto troppo e quasi perso una mandria nella pampa, impiegando due giorni a riprendersi tutti i capi di bestiame dispersi per la pianura. 

Avevano giocato a carte, le regole del truco che finalmente avevano perso quell’alone di mistero, ora che da grandi potevano fingere anche loro di  - non aver visto cose - non avere quel dannato asso di spade in mano. 

Si erano passati la teiera di acqua bollente e la calabaza con la cannuccia metallica piena fino all’orlo di mate amaro, ricalcando i gesti dei loro padri, e quando Gabriela aveva portato loro alfajores appena fatti - la pasta frolla ancora calda, con il dulce de leche morbido che grondava sulle loro dita e lo zucchero a velo che gli impiastricciava il naso e il collo della camicia come quando erano bambini - Juan l’aveva ringraziata e aveva improvvisato quella canzone sciocca che lei cantava sempre - “Por el río Paraná venía navegando un piojo, con un hachazo en el ojo y una flor en el ojal,” - e Gabriela aveva riso veramente per la prima volta da quando era arrivata a casa la lettera di leva per Santiago, le rughe intorno agli occhi stanchi che per una volta si erano approfondate in gioia invece che preoccupazione.


* * * 


“Che cosa farai adesso?” aveva chiesto Santiago, sdraiato nel prato una mattina, mentre maggio volgeva al termine e la mucche vagavano placide. 

Juan si era puntellato su un gomito, per poterlo guardare in viso. “Il gaucho, come mio padre. Perché, tu che altro volevi fare?” 

‘Tiago si era massaggiato il collo, imbarazzato, tirandosi a sedere. “Pensavo… pensavo che potrei iscrivermi all’Università.” 

Juan aveva aperto la bocca senza sapere cosa rispondere. 

 No, non andare. 

Avrebbe voluto dire. 

 Rimani con me a bere mate e magiare alfajores e guardare le nuvole, mentre le vacche pascolano e  il mondo va avanti senza di noi. 

Avrebbe dovuto cercare di dissuaderlo. 

“Ti farai ammazzare, ‘Tiago.” 

“Pensavo la stessa esatta cosa di te all’addestramento, eppure eccoci qui,” Santiago aveva indicato la prateria con le mani aperte, le palme scarificate dalle migliaia di spine che Juan aveva passato una vita intera a togliergli. 

Ho dato abbastanza a questo fottuto stato, non voglio dargli anche te. 

Avrebbe potuto dire, e ‘Tiago lo avrebbe preso per il culo dandogli del maricòn sentimentale e gli avrebbe detto che la dittatura stava per finire, che ora che l’attacco alle Malvinas - alle Falklands - era fallito e che i militari se ne erano dovuti tornare a casa con la coda tra le gambe ci sarebbe stata la Democrazia, quella con la D maiuscola e lui voleva essere lì a farla accadere, o per lo meno a vederla accadere - se uno studente al primo anno di scienze politiche non avesse potuto fare di più. 

“Ti ricordi Esteban?” 

“Condividevamo la branda meno di un mese fa, demente, certo che mi ricordo Esteban.” 

“Gli ho scritto, ha detto che ai suoi serve un cameriere all’osteria e mi sono offerto di andare questa estate. Metterei via i soldi per iscrivermi e comincerei a conoscere gente.”
Non andare. 

“Quanto avanti sei già nella tua pianificazione?” Aveva chiesto Juan cercando contenere i danni, di non sembrare troppo acido, né ferito, né tradito. 

“Devo ancora dirlo a mamma e per papà sarà un colpo, ma comunque ci sarai tu qui, no? Praticamente sei stato adottato…” aveva svicolato e Juan aveva sentito lo stomaco farsi sempre più pensate e il nodo alla gola stringersi e il cuore tamburargli in petto. 

“Quando parti, ‘Tiago?” 

Santiago aveva guardato il cielo. “Ho il treno il 5. Di giugno.” 

Rimani con me, Cristo santo, perché cazzo te ne devi andare? 

Juan non aveva detto niente, la decisione di ‘Tiago, calata forte come una mannaia d’acciaio tra loro. 

“Fai il cazzo che ti pare,” aveva sputato Juan alzandosi, “non ce li porterò i fiori sulla tua tomba.” 

Sempre che tu sia abbastanza fortunato da averne una. 


 

* * * 


Il 18 giugno 1983 la Giunta di Galtieri si dimise.

Con il Generale Leopoldo Galtieri, oltre ai settecento militari argentini morti nella guerra delle Falklands, sparirono oltre novemila oppositori. 


* * * 


La corolla del crisantemo è rosso come una chiazza di sangue sul bavero del - fu Sergente - Rinaldi. 

“La trovo in forma, Rinaldi. È venuto a chiedere perdono per i suoi peccati?” 

Ignacio Rinaldi si volta, facendo perno sul bastone di legno - quello che ora è costretto a usare un giorno sì e uno no, perché quando cambia il tempo la placca di metallo nella tibia gli fa male quasi come se gli avessero sparato ieri, invece che più di vent’anni fa, - e si toglie il cappello. 

“Una cosa del genere.” 

Il Parque de la Memoria era gremito di gente qualche settimana prima, ma con il tempo la folla accalcatasi per l’inaugurazione era andata scemando e ora, tra le lastre di pietra con i trentamila nomi dei desaparecidos incisi sopra, si attardano poche persone. 

“E come mai invece è qui lei? Sono abbastanza sicuro che non abbia peccati di cui chiedere perdono.” 

No, nessuno dei due, direttamente, avrebbe peccati da cui essere assolti.  

Rinaldi aveva addestrato reclute, non fatto sparire studenti e comunisti e oppositori dentro le galere dell’ESMA. Ma fare parte della macchina a volte lascia un macchia invisibile di colpa addosso che è difficile da lavare via per quanto si sfreghi.

“A volte più che il perdono si ricerca la punizione, sergente. Girare il coltello nella piaga per aumentare gli ‘e se’ che ci frullano nel cervello.” 

“E se?” 

E se mi fossi impegnato di più per trattenerlo qui. 

E se lo avessi costretto a rimanere un altro paio di mesi, sarebbero bastati. 

E se… 

“Sì. E se. Ci pensa mai, sergente?”

Rinaldi scuote la testa con un sorriso stanco. “A cosa, Castaldi? A ‘e se non mi fossi beccato una pallottola’? E se fossi stato nella Capitale? E se fosse successo tutto questo, parte di quei nomi sarebbe colpa mia? Li avrei fatti sparire io?” Rinaldi si calca il cappello sulla testa, stringendosi nel cappotto contro il freddo dell’inverno. “O ‘e se la pallottola mi avesse colpito più su’? Tipo in testa?” Rinaldi scuote la testa ancora. “Non serve a niente chiedersi gli ‘e se’. Con i rimpianti e con i rimorsi i morti ci si puliscono il culo.” 

“Dovrei comunque cercare il suo nome,” Juan indica con un cenno del capo la lastra di pietra. 

“Di chi?” 

“Santiago.” 

“Ah, Ortega,” c’è un lampo di riconoscimento nei suoi occhi. Il loro deve essere stato l’ultimo gruppo a venire addestrato prima della disfatta, forse è per questo che se ne ricorda - il suo ultimo momento di gloria prima di essere costretto a tenere un profilo basso e sparire. “È qui anche lui?” 

“Sì, da qualche parte.”

“Da qualche parte,” Rinaldi sospira e alza il viso al cielo, inspirando l’aria fredda. “Sembra un po’ inutile con tutti i cardi che gli ho fatto tastare, ma guarda te. Cerchi di insegnare a sopravvivere a uno… ah, ma se non è lui il primo a tenerci, c’è poco da fare.”

Juan pensa che dovrebbe sentirsi offeso, ma non c’è cattiveria nelle parole di Rinaldi. 

“Lo so che mi odiava, eh? Era il mio lavoro farmi odiare. Forse ci provavo più gusto di quanto non avrei dovuto, ma che ci vuoi fare. Io ero bloccato qui, con i miei gradi nuovi e una gamba inutilizzabile e voi sareste andati a ricoprirvi di gloria, o così pensavo.” 

“Non c’è gloria nella guerra, sergente.” 

Rinaldi ridacchia. “Questo me lo dici adesso che hai - quanto? Quarant’anni?”
“Trentotto.” 

“Beh, trentotto allora. Ma io mi ricordo quando ne avevi a malapena diciotto, recluta Castaldi. Tu e il tuo spirito patriottico del cazzo. Il nostro spirito patriottico del cazzo.” Rinaldi claudica verso di lui e si ferma, “La vita è ironica, no? Ortega pensava che quello che si sarebbe fatto ammazzare in nome di un ideale saresti stato tu.” 

Juan sorride, “Già. È vero.” 

Rinaldi lo supera, sempre col suo passo ondeggiante e si ferma ancora, dandogli le spalle. 

“Puoi andare a cercare il suo nome, Castaldi. Non ti trattengo. Ma fatti dare un consiglio da uno che non è mai stato molto bravo a darne. Certe ferite bisognerebbe lasciarle cicatrizzare, soprattutto dopo vent’anni, non continuare a spargerci sale sopra. Non serve a te e sicuramente non serve nemmeno a lui.” 

“Quindi non dovrei neanche cercarlo, secondo lei?”
“Perché pensi che non ci sia? Che sia vivo e vegeto in un’isola tropicale dall’altra parte del mondo? Andiamo, non dirmi - e non dirti - stronzate, Castaldi.”  

“E che dovrei fare, eh?” 

“Accompagnami a prendere un mate.” 


* * * 


Avevo detto che non avrei portato fiori sulla sua tomba e sono stato di parola, no? 


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