FF: Vienna waits for you
Oct. 3rd, 2019 02:56 pm![[personal profile]](https://www.dreamwidth.org/img/silk/identity/user.png)
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Wordcount: 2831
Prompt: Spia, Denaro, Relazione
Il cuore le batteva all’impazzata nel petto e l’ansia le stava torcendo le viscere.
È solo l’adrenalina, Karen si costrinse a pensare. Solo il fottuto sistema ortosimpatico. Non c’è davvero un pericolo per cui calmati, porca puttana!
Karen si costrinse a regolare il respiro, inspirando ed espirando ritmicamente.
“Rilassati, andrà tutto bene,” Lauren le sussurrò all’orecchio, stringendole il braccio nell’unico gesto di conforto permesso in un luogo tanto ufficiale.
Mentre attendevano che l’aula di tribunale venisse sgombrata dal processo ancora in corso, Karen non potè fare altro che chiedersi se questa volta non avesse fatto il passo più lungo della gamba.
Fare causa ai suoi ex-datori di lavoro… Fare causa ad Harry… no, non Harry. Mr. Stoneway.
Diamine, e Karen pensava che la sua vita fosse incasinata prima?
Era stata tutta colpa sua, se solo non si fosse infatuata di uno stronzo sposato ora forse la sua vita sarebbe stata molto più semplice.
Era stato quello il problema, il punto di rottura.
Karen non era mai stata una di quelle che andavano a cercarsi i guai. Fin da bambina era stata abituata ad essere la “classica brava ragazza”, tre parole che erano state ripetute a profusione da chiunque la conoscesse, un’etichetta che Karen si era appuntata sul petto con orgoglio.
Ligia al dovere e diligente, buoni voti a scuola da sempre, aiutava la madre in casa senza sbuffare, niente crisi adolescenziali, mai una droga, una sigaretta, una goccia d’alcool. Karen era “una ragazza acqua e sapone”, come sua madre ripeteva spesso. Era quasi un mantra per lei, una di quelle frasi che Mel Witthaker adorava ripetere spesso, soprattuto da quando suo marito le aveva abbandonate entrambe ed era fuggito con la segretaria di vent’anni più giovane. Quasi che Karen fosse stata la sua unica consolazione.
Karen aveva terminato l’università e si era portata a casa il suo bel pezzo di carta, poi aveva trovato lavoro alla Ineseide Pharma Tech. La sua vita sembrava perfetta.
E poi aveva conosciuto Harry.
Che non fosse stata una grande idea invaghirsi del suo capo sposato, con diciassette anni più di lei e due figli a casa, Karen lo aveva capito subito. Ma al cuor non si comanda e stronzate varie.
Oh, certo che lo avrebbe visto tutti i giorni comunque in ufficio, ma Karen avrebbe potuto evitare benissimo di innamorarsi di lui, per esempio evitando le lunghissime pause caffè e i drink dopo l’ufficio. Invece si era concessa il lusso di sbagliare per una volta nella sua vita. Un lusso che le era costato carissimo.
Karen aveva lavorato quattro anni alla Ineseide e ne aveva passati tre a rubare ore in camere di alberghi, mentre lei ed Harry inventavano riunioni durate fino a tardi per giustificare il ritardo nel rientro a casa. Non che alla madre di Karen importasse, le scuse non erano a suo beneficio.
Tanto attenti lei e Harry non erano stati però, perché le voci avevano cominciato a girare e, col tempo, erano arrivate alle orecchie della signora Stoneway.
Se Karen fosse stata un’idiota avrebbe detto che quello era il momento in cui la sua vita era andata a piedi per aria, ma Karen non lo era e sapeva benissimo che tutto quello che le era successo era una diretta conseguenza delle sue azioni. Karma, se vogliamo, anche se lei non ci aveva mai creduto.
Sapeva di stare sbagliando eppure aveva sbagliato lo stesso.
Violet Stoneway aveva messo il marito davanti ad un aut aut. O il suo matrimonio o la sua dipendente. Harry non aveva nemmeno dovuto pensarci prima di licenziarla. E proprio mentre stava per presentare un progetto per un nuovo farmaco. Karen aveva avuto una illuminazione quando aveva ritrovato la sua tesi di laurea, relegata in un angolo polveroso della stanza, perché chi mai rileggeva la propria tesi una volta discussa? L’idea le era venuta quasi per caso e sulla carta avrebbe potuto funzionare.
Ma quando era stata licenziata, non se ne era più fatto niente.
Certo, Karen ne deteneva la proprietà intellettuale, ma a chi mai avrebbe potuto venderla se nessuna azienda farmaceutica l’aveva assunta? C’era crisi e lei era stata mandata via e sebbene ai colloqui di lavoro avesse tentato di dire che era la sua cacciata era avvenuta per motivi personali, nessuno l’aveva poi richiamata.
Se non fosse bastato sua madre l’aveva cacciata di casa, perché la sua dolce e brava bambina non avrebbe mai dovuto fare ad un’altra donna quello che il padre aveva fatto a loro e questa Karen - sua madre aveva sputato il suo nome come se fosse un insulto - Mel non la conosceva e non la voleva nemmeno conoscere.
Così lei si era ritrovata senza lavoro e senza casa, costretta a dormire sul divano di Hélene, la sua migliore amica, finché non era riuscita a trovarsi un impiego sottopagato come centralinista e aveva potuto permettersi un monolocale delle dimensioni di una scatola da scarpe. Metà della cucina mancava per poterle permettere di avere un divano letto in cui dormire la notte.
Non era ottimale, ma era decisamente un inizio.
Era stata Hélene a presentarsi a “casa” sua con una idea. “Perché non ti iscrivi al Reality Challenge?”
Karen aveva riso, ma Helena era seria.
“Qual è il problema? Pagano e anche bene, ho controllato. Pensi che se ti licenzi da questo prestigioso call center, poi non ne troverai un altro?” Hélene a volte abusava del diritto al sarcasmo.
“Io odio i reality!”
“Odi anche lavorare in quel dannato call center, ma lo fai lo stesso perché devi. Sono otto settimane, sempre che tu arrivi in finale, due mesi e ti pagherebbero quasi quanto guadagni in un anno lavorando a quella dannata scrivania.
“Sempre che mi prendano.”
“Se ti prendono ti pagano, se non ti prendono non sei costretta a partecipare. È una win-win situation.”
Karen si era iscritta e fuori da ogni logica era stata accettata. Diamine, contro ogni probabilità era riuscita ad arrivare in finale. Questa non se l’era aspettata.
Aveva anche stretto qualche amicizia durante quel periodo - e con alcuni anche qualcosa di più - ma erano persone troppo diverse e i contatti che avevano cercato di mantenere una volta fuori si erano pian piano diradati fino a che le uscite di gruppo si erano ridotte a un paio di volte l’anno. Dopotutto era difficile incastrare gli impegni di così tante persone per frequenti rimpatriate, specie dal momento che nemmeno abitavano tutti nella stessa città.
Ma se Karen ne aveva guadagnato in bagaglio sociale - non era mai stata brava a farsi degli amici - era anche vero che il Reality l’aveva riempita di opportunità.
Oltre alla cifra che le aveva permesso di cambiare appartamento e di potersi concedere almeno una vera stanza da letto, gli strascichi della fama televisiva l’avevano seguita. Talk show e programmi serali la volevano come opinionista e per quanto Karen avesse sempre aborrito la cosa, i suoi interventi venivano pagati. Così Karen era stata chiamata a dare il suo parere sulle più svariate relazioni di gente di cui non gliene importava assolutamente niente.
Alla fine era stato solo un colpo di fortuna che uno degli ospiti di una serata, circa nove mesi dopo la fine del Reality, avesse dato buca a poche ore dalla diretta e i giornalisti si fossero dovuti affrettare a riempire lo spazio con un servizio raffazzonato alla bell’e meglio su un argomento di attualità.
Che per caso si trovasse ad essere un reportage sui no-vax era stato solo casuale, ma Karen era davvero un’esperta nel campo per una volta, così aveva parlato. Non che la conduttrice gli avesse concesso poi così tanto spazio, in fondo quello non era un argomento così interessante rispetto alle tresche di una show girl, ma a Karen era bastato per farsi notare.
Il suo intervento successivo era stato in un programma di stampo scientifico e infine era riuscita a passare dietro le quinte, dove lei preferiva stare - le luci della ribalta non facevano per lei -, una perfetta consultant che solo raramente compariva in un qualche programma e, quando lo faceva, non era più la ragazza del reality.
Per un po’ era sembrato andare tutto bene.
Poi il suo difficoltosamente conquistato e fragile equilibrio era stato infranto. Era passato solamente un mese e e già le parevano secoli, da quando Carl era tornato nella sua vita.
Lo squillo del telefono l’aveva distratta dalla sequenza di numeri davanti ai suoi occhi.
Sollevando la testa dalla pagina, Karen aveva adocchiato il cellulare abbandonato sul comò e si era chiesta se valesse davvero la pena alzarsi dal suo caldo e comodo letto per percorrere quei pochi metri. Mentre si domandava se non fosse il caso di lasciar squillare il telefono (perché, davvero, chi chiamava alle dieci di sera? Poteva essere un centralinista in India che non aveva ben chiaro il fuso orario - e Karen ne aveva avuto abbastanza dei call center per bastarle una vita intera - oppure poteva essere urgente - ma Karen non aveva nessuno che la volesse contattare per una urgenza) il cellulare aveva smesso di squillare.
“E questo risolve il mio dilemma” aveva pensato la ragazza prima di tornare a concentrarsi sul suo sudoku. Ah, come aveva fatto a non vederlo prima, in quella casella ci andava sicuramente un tre.
Il telefono aveva ripreso a squillare.
“Fanculo!” imprecando ad alta voce, Karen si era decisa ad alzarsi. Se fosse stato un telefonista indiano se non altro gliene avrebbe dette quattro.
Il numero sul display non era salvato in rubrica, ma era locale. Karen aveva premuto l’icona verde.
“Pronto?”
“Karen?”
Le ci era voluto qualche istante per associare la voce ad un nome e collocarlo in un contesto. Non era passato poi così tanto tempo - cinque anni - ma era stato una vita fa.
“Carl?” aveva chiesto con voce incerta.
Cosa diamine poteva mai volere Carl da lei alle dieci di sera?
“Sì, ciao, Karen, scusa l’orario, ma in azienda abbiamo finito adesso, sai com’è la riunione è finita tardi e…”
Già, si ricordava i turni massacranti, le riunioni a tarda notte, gli straordinari quasi giornalieri, ma se non altro ben pagati. Tutto il suo lavoro ruotava a quanto tempo potesse passare in laboratorio sottraendolo alla propria vita. Non c’era da meravigliarsi che l’amore lei lo avesse trovato proprio sul posto di lavoro visto che viveva praticamente in azienda.
“Mi hai chiamato solo per ricordare i vecchi tempi, Carl?” Aveva tagliato corto, forse più bruscamente di quello che avrebbe voluto. Dopotutto Carl le era sempre stato simpatico, forse se lei non avesse avuto la testa infilata tanto in profondità nel culo sarebbe pure potuto nascere qualcosa fra loro - qualcosa che non le avrebbe fatto perdere il lavoro per esempio.
“Cosa? Ah, no, scusami Karen, lo sai come sono fatto, tendo sempre a divagare. Arrivo al punto.”
Ma Carl non sembrava voler arrivare al punto. Aveva esitato dall’altro capo della linea e Karen aveva cominciato a spazientirsi.
Il suo licenziamento era ancora una ferita aperta nonostante i cinque anni passati e la telefonata di Carl non aveva fatto altro che spargervi sopra del sale.
“Carl? Per quanto apprezzassi conversare con te all’epoca, sono le dieci di sera. O mi dici cosa cazzo vuoi o metto giù e torno a letto.”
“Merda, Karen, è che non so come dirtelo, ma penso dovresti saperlo…”
La ragazza aveva trattenuto il respiro. Quale notizia avrebbe mai spinto Carl a telefonarle dopo anni - forse c’entrava Harry? Un barlume di speranza le era tremolato in petto e lei, acidamente, si era costretta a sopprimerlo. Che stupida! E se anche ci fosse stato di mezzo Harry? Quello stronzo del suo capo le aveva promesso amore eterno solo per portarsela a letto e quando la moglie lo aveva scoperto… Non le doveva importare.
Non le sarebbe dovuto importare.
“… vogliono usare la tua ricerca.”
Le parole di Carl l’avevano riportata alla realtà come con l’acutezza di una secchiata di acqua gelida.
“Come?”
“La tua ricerca sulle interazioni tra Amiodarone e tiroxina. È valida, qualche mese dopo che te ne sei andata hanno fatto partire la sperimentazione pre-clinica e funziona. Alla riunione di stasera hanno annunciato il passaggio alla fase clinica. Pensavo dovessi saperlo.”
Karen non poteva crederci.
“Cos- Carl, sei sicuro? Voglio dire…”
Una miriade di pensieri aveva cominciato a turbinarle in testa.
“Sono sicuro. E posso portarti le prove.”
“Perché stai facendo la spia per me? Voglio dire, potrebbero licenziarti!”
“Perché non è giusto, Karen. Senti, ho lavorato in questa azienda per molti anni e so come vanno le cose. So com’è Stoneway. E non penso che sia giusto il fatto che ti abbiano licenziato e il motivo per cui l’ha fatto.”
“Lo - lo sai?”
“Ho visto il Reality, Karen. Hanno mandato in onda pezzi della tua audizione. Lo abbiamo saputo tutti.”
“Merda.”
“Ci dispiace. Stoneway ci aveva detto che era stato perché avevi falsato il rapporto sui dati dell’anti-coagulante, lo ha detto a tutti quelli che hanno telefonato per chiedere referenze sul tuo conto -”
“Che figlio di puttana!”
“Lo so! Ne ho parlato con Michael e Liza e anche loro sono disposti ad aiutarti.”
“Io - Non so cosa dovrei fare.”
“Noi sì. Conosci l’avvocato Lauren Jonnasson?”
“Quella che ha vinto la causa contro la Innermost Pharmaceutics l’anno scorso?”
“È la compagna di Liza.”
Ed ecco come Karen si era trovata nel corridoio della Sala di Giustizia al fianco di Lauren.
Non capiva perché fosse così agitata. Si era ricostruita una vita, pezzo dopo pezzo e a fatica, ma ora era felice.
Perché ora si sentiva come se tutto il suo mondo dipendesse da quel singolo responso?
Diamine, aveva davvero bisogno di una sigaretta. Aveva cominciato quando era stata licenziata, scegliendo la più lenta forma di suicidio, e si era costretta a smettere quando la sua vita aveva smesso di sembrarle completamente grigia.
Non avrebbe ripreso proprio ora, sarebbe stata una sconfitta.
E poi aveva capito.
Quello era un capitolo della sua vita che era terminato così bruscamente - tranciato di netto, dalla mattina alla sera - che lei non aveva avuto chiusura.
Aveva chiuso con il fumo, aveva chiuso con sua madre, aveva chiuso con il call center, ma non aveva mai avuto la sua chiusura con Harry, con il lavoro, con la ricerca.
Era ancora una reietta. E no, non voleva tornare indietro, era perfettamente contenta con quello che aveva ora. Aveva cominciato a uscire con Carl, aveva preso un altro gatto, aveva un lavoro soddisfacente e una carriera che non le faceva sentire di aver buttato tutti i suoi anni di studio.
Non sarebbe tornata indietro.
Ma avrebbe fatto mangiare loro - alla Ineseide e a Harry - tutta la merda che le avevano buttato addosso.
Si trattava di vendetta.
E a giudicare dalle parole di Lauren - “Abbiamo il caso in pugno, Karen, vedrai che andrà tutto bene” - l’avrebbe avuta.
“Miss Witthaker?”
“Sì?” Karen alzò gli occhi sulla donna che le aveva parlato. L’aveva riconosciuta subito, era la Mayer, uno dei dirigenti della Ineseide, il volto che avrebbe rappresentato l’azienda in tribunale e che avrebbe trattato con gli avvocati.
“Sono Ann Mayer e sono qui per proporle un accordo.”
* * *
“Chiariamoci, Harry, tu sei un manager bravissimo, ma sei laureato in ingegneria gestionale. Sei sostituibile. Se lei si porta via la ricerca noi avremmo quattro miliardi di dollari buttati nel cesso che andranno a vantaggio di qualsiasi azienda a cui lei scelga vendere il farmaco. Possiamo permetterci un fallimento, ma non possiamo permetterci che un’altra azienda si intaschi il nostro ritorno.”
“Io -”
“Ci capisci non è vero, Harry?”
Karen osservò lo scambio da lontano. Non riusciva a sentire le voci, ma poteva immaginare cosa stesse accadendo. Vedeva Harry gesticolare, l’espressione sconvolta sul suo viso, le sue spalle abbassarsi in segno di sconfitta.
Karen sorrise e inalò il profumo di detergente al limone che permeava l’aria del quinto piano della Ineseide.
Aveva detto che non sarebbe tornata indietro, si era riproposta di stroncare la Ineseide e quando aveva ascoltato la proposta della Meyer, si era dipinta un sorriso sprezzante sul volto mentre quella cercava di convincerla che sarebbe stato molto più vantaggioso per tutti se la Ineseide le avesse garantito un esoso risarcimento, si fosse scusata per le calunnie e l’avesse reintegrata a capo della ricerca.
Alla fine Karen aveva fatto una sola domanda. “Quanto esoso?”
Ann Mayer le aveva allungato un bigliettino con una fila di zeri notevole.
La Ineseide non le aveva mai offerto amore eterno e non l’aveva mai tradita, non erano loro i veri cattivi.
“Manterrò il mio attuale lavoro e il mio nome sarà il primo nella pubblicazione scientifica.”
“D’accordo.”
Karen si era chinata verso la donna con fare cospiratorio e le aveva detto. “Ed ho un’altra condizione.”
Non si era aspettata che la Meyer accettasse. “Io e lei andremo molto d’accordo, Miss Witthaker.”
Karen sorrise mentre Harry veniva scortato all’ingresso dalla sicurezza. Poi l’uomo in giacca e cravatta si voltò verso di lei.
“La sua scrivania è pronta, Miss Witthaker.”